Cycling

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“Non esiste montagna più alta di quella che non provi a scalare”

Il Giro d’Italia, ovvero “la corsa più dura nel paese più bello”. La testimonianza di Omar Di Felice per un ciclismo come “scuola di vita”

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È da una settimana che è finito il Giro d’Italia. Molti appassionati ancora si stanno chiedendo che cosa fare nei prossimi pomeriggi senza la ormai consueta tappa, dove osservi eroi che raggiungono paesaggi meravigliosi… Dico “consueta” perché affrontare 21 giorni in sella a una bicicletta, diventa una routine dell’ultimo mese di vita e quindi parte della tua giornata. Non avevo mai pensato cosa potesse significare affrontare una corsa a tappe di tre settimane, ma da quanto ho potuto osservare è fatica, fatica e molta fatica.

Le emozioni forti sono relativamente poche: andare in fuga e vedere la meta sempre più vicina; una volata riuscita alla perfezione, oltrepassando i 70 km orari; un compagno di squadra che vince; un tifoso che, come un pazzo, ti insegue in salita e ti strilla nelle orecchie “dai, non mollare!”. Al di là dei cliché sterili che hanno potuto infangare un po’ questo sport, il ciclismo rimane un faro sul monte per chi punta a una via di mezzo tra sport, passione e una “via crucis”, tanto per citare un simpaticissimo ciclista, Luca Paolini.

Premetto che non ho la testa invasata dalle due ruote. Vorrei, infatti, analizzare questi 3486 km e i 4400 mt di dislivello altimetrico complessivo che questi esseri umani come noi hanno compiuto in meno di 90 ore! Per la precisione, il fenomeno di questa edizione, la Maglia Rosa 2015, Alberto Contador, l’ha finito in 88h22’25”! L’edizione di questo Giro d’Italia, ha sfidato tutte le altre edizioni precedenti e gli altri grandi giri come il Tour de France per la sua estenuante durezza.

La 98º edizione del trofeo è stata composta da: 1 tappa a cronometro individuale, 1 tappa a cronometro a squadre, 7 tappe per velocisti, 5 tappe di media montagna, 3 tappe di media montagna con arrivo in salita, 4 tappe di alta montagna con arrivo in salita.

A questo punto mi faccio aiutare da uno che sa cosa vuol dire soffrire e continuare a pedalare: Omar Di Felice, ex ciclista professionista ed ora campione dell’ultracycling (www.ultracyclingman.com) per entrare nel dettaglio dell’analisi del Giro 2015.

Omar, ci si chiede se un uomo possa finire una corsa del genere…

In effetti, dei circa 200 ciclisti partenti solo 163 l’hanno portato a termine. Le cadute possono mietere vittime, come quella di Domenico Pozzovivo, o Daniele Colli. Le energie possono mancare. Dipendendo dall’allenamento di ogni ciclista e dalla sua età, il cuore batte per circa 155 volte ogni minuto considerando che una gara in media può durare dalle 4 alle 5 ore! Lo sforzo è realmente estremo, considerando che il giorno dopo i ciclisti sono sottoposti allo stesso stress. Le energie perse, circa 6000 kcal, (per intenderci 3 giorni di alimentazione ordinaria) devono essere compensate nel dopo gara, prima di andare a letto in hotel, un letto che non conosci e che forse è a una o due ore di autobus dall’arrivo. Quindi per chi non cade e non soffre qualche altro acciacco fisico, il bello è resistere a tutto questo stress mantenendo uno sforzo mentale per 21 giorni.

Perché “mentale”, non bastano le gambe?

Il nostro corpo ha un potenziale inespresso che può realizzarsi solo se si è focalizzati al 100%. Lo sforzo principale parte dalla testa e questo non solo con la bici, ma anche nella vita. Non vince chi va più forte ma chi riesce a gestire meglio le forze che dispone. Contador non ha vinto una tappa quest’anno. Poteva andare a prendere Fabio Aru sulla salita finale della terz’ultima tappa a Cervinia, ma semplicemente ha preferito stare a ruota di Mikel Landa e risparmiare sforzi inutili. Contador nonostante i vari incidenti ha sempre mantenuto testa e calma. Conquista la maglia rosa, cade e si lussa la spalla sinistra e continua la corsa. Fora alla base del leggendario Mortirolo e da solo va a riprendere il treno Astana di Landa e Aru (rispettivamente 3º e 2º classificati a questo giro) con un minuto di ritardo sulle pendenze dove ha fatto storia il mitico Marco Pantani. Dopo aver alzato il trofeo, subito ai microfoni della Rai ha commentato: “da questa sera penserò al Tour de France”; poi la sera twitta: “con sacrifico, sofferenza e motivazione si raggiungono gli obiettivi”. Questa è la mentalità che ci vuole per essere ciclista.

Ma come si fa a gestire tanta fatica?

La corsa è quella che è e le salite sono dure per tutti. Nessuno parte avvantaggiato. La fatica fa parte del ciclismo ma soprattutto della vita; chi ha le motivazioni più forti alla lunga dà miglior risultati. Direi che, anche per questo, non bastano le gambe ma servono la mente e il cuore! In generale il modo migliore per superare gli ostacoli è quello di andare oltre i limiti, sempre. Il limite è diverso per ognuno di noi ciclisti. Credo che il limite va affrontato e oltrepassato e in questo può giocare un ruolo fondamentale il lavoro di squadra, come ha fatto la Tinkoff Saxo o l’Astana. Quindi c’è da armarsi di tanta umiltà per essere costanti: penso a un 2 volte vincitore del Giro d’Italia, come Ivan Basso che, mettendo da parte ambizioni personali, si è messo a servizio di un altro campione come Contador. La realtà è dura; i chilometri non li puoi evitare e meno che mai le salite.

È proprio il caso di dire: “Non esiste montagna più alta di quella che non provi a scalare”…

Verissimo. Devi essere motivato e cercare nel tuo cuore tutte le motivazioni che tu hai bisogno. Nessuno scalerà quella salita per te, così nel ciclismo, così nella tua vita.

[Intervista a cura di Luca Centomo]

 

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ZENIT Staff

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