Sunlight

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"Lux Lucis"

Questo il titolo della retrospettiva del maestro Rodolfo Papa sul tema della luce nell’arte e alcune riflessioni sulla luce nell’arte contemporanea

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Dal 3 al 5 giugno 2015 all’interno dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, in occasione del Convegno Internazionale “Fiat Lux: Let there be light” organizzato in occasione dell’Anno internazionale della Luce e che vede riuniti premi Nobel, fisici, filosofi e teologi di tutto il mondo, si inaugura la retrospettiva Lux, lucis del maestro romano Rodolfo Papa, che vede riunite per la prima volta opere dal 1985 al 2015 incentrate sul tema della luce. Light, space and time, Light as knowledge, communication & arts ed infine Light & life sono le tematiche affrontate nei tre giorni di relazioni e dibattiti su un tema fondante della fisica e dell’estetica, e per riflesso anche dell’etica, tematiche con le quali si relazionano anche i dipinti in esposizione, apparentemente semplicemente descrittivi ma aperti ad una visione più complessa del mondo visibile, un mondo fortemente permeato dello spirito creatore di Dio. Nell’intervista rilasciata a Paolo Ondanza per Radio Vaticana così Papa riflette sulle sue opere: «Rappresentare la luce, mettere la luce nei colori, nella pittura è la “missione impossibile”, perché con una materia opaca – come sono i colori – bisogna cercare di rappresentare una realtà fisica, ma che ovviamente ha tutt’altra consistenza. Se si osservano tutti i miei lavori, il filo che li lega è per esempio il titolo: tutti i paesaggi in realtà hanno come titolo “teofania”: cioè, chi osserva la natura, osserva il Creato; chi osserva il Creato, attraverso di esso guarda al Creatore. Quindi, la quantità di dipinti che parlano di un’alba, di un sole che nasce, di fatto simbolicamente non fanno altri che rappresentare quel volto di Dio che si specchia nella creatura, che è la natura da Lui creata»[1].

Il tema della luce nella storia dell’arte è estremamente complesso perché va a coincidere con la stessa Idea di arte e di origine. Sedlmayr[2] muove dal presupposto che le manifestazioni artistiche di un’epoca non sono solo espressione delle realizzazioni delle singole personalità, ma sono intimamente connesse alla Licht-Wollen. Del resto Apelle che impara a dipingere tracciando il contorno della propria ombra non poteva sviluppare la sua pittura senza una fonte luminosa che avesse prodotto l’oscurità del corpo, una fonte che diviene principio primo, per Quintiliano, delle luci e delle ombre: ratio luminum umbrarumque. La ratio imitandi applicata alla luce ha contemplato una genesi lunga che è passata per la complessa simbologia medievale per la quale la luce è il completamento indispensabile della gloria di Dio. Soprattutto nell’architettura romanica e gotica, con modalità diverse, si assiste ad un’organizzazione spaziale incentrata sul profondo valore simbolico e liturgico della luce, quella luce che per Plotino era l’irradiazione dell’Uno e che per il cristianesimo entra nelle chiese quale immagine di Cristo e viene filtrata dalle vetrate policrome quale simbolo di Maria, che si era illuminata per prima della luce dell’incarnazione riflettendola. La forte spinta imitativa dell’arte rinascimentale indagherà anche la luce che acquista connotati scientifici e che Leonardo, per esempio, differenzierà dai lumi, distinguendo tra fonte di luce e sua emanazione. Caravaggio esalterà maggiormente le ombre preferendo chiari aperti e profondissimi scuri tolti dal naturale dove la luce, profonda e reale, è parimenti emanazione divina camuffata da sembiante ordinario. Saranno gli impressionisti nel tentativo di oggettivare una visione scientifica dello spettro cromatico e luministico a disintegrare la concezione naturale della luce e ad aprire, paradossalmente, la strada a svariate ricerche soggettive. La luce che deriva dalla frantumazione dei colori sarà la radice della frantumazione del reale e dell’apertura all’eccesso dell’espressione. Ciò che Rodolfo Papa cerca di ristabilire in pittura è la visione della bellezza sensibile della luce materiale che è riflesso e contemplazione della luce spirituale immateriale di Dio, una visione che l’arte contemporanea non ha mai contemplato. Sin dalla negazione del corpo, e quindi della luce, in Kandinskij gli artisti del Novecento hanno inteso il fenomeno luminoso non come un riflesso degli oggetti e dei corpi intesi quali specchi del Creatore bensì come emanazione gnostica dell’ente e principio soggettivo. Successivamente, dal secondo Novecento, la luce cessa di essere sostanza per diventare forma attraverso soprattutto il neon: scriverà Mario Merz «Un numero può essere una cosa e nient’altro; scritto con il neon, esso significa quel singolo numero e nient’altro, scritto in quel modo e in nessun altro. Il neon non è un oggetto, ma il fatto che l’elettricità fluisce attraverso di esso lo rende meno oggetto». Il passaggio di energia e la sua emanazione diventano segni significanti in uno spazio che non guarda più al naturale bensì si lascia trasfigurare dall’artificiale. Numerosi sono stati così gli artisti che si sono avvalsi di diverse tipologie di luci “artificiali” per mandare i loro messaggi: Bruce Nauman, Joseph Kosuth, Robert Barry fino a Jenny Holzer e Maurizio Nannucci. Il più noto è stato Dan Flavin (sua la Chiesa di Santa Maria Annunciata trasformata in Chiesa Rossa a Milano) che ha fatto del neon l’elemento privilegiato di tutta la sua poetica e che, iniziando da Diagonal of May 25, 1963, ha posto la questione della luce stessa come medium capace di annullare le coordinate spazio-temporali attraverso la predisposizione di un ambiente immersivo, totalizzante, in grado di alterare la percezione dello spettatore. Il fenomeno della luce nell’arte post-moderna sembra quindi essere uno degli elementi fondamentali di sovversione del primato naturale della visione. L’adozione della componente artificiale a discapito di quella ordinaria comporta un’eccedenza del “fattore esterno” e tecnologico e un rifiuto della componente oggettiva. In tale ottica anche l’Idea di Dio viene a perdersi nell’infinita casistica delle sensazioni meccaniche.

Le opere di Papa, recuperando il mezzo pittorico tradizionale, rivelano come la pittura sia tra le forme artistiche più adatte alla raffigurazione del divino attraverso la luce. La luce che ritorna nel quadro, infatti, non è più un’interpretazione personale o una variazione sulle meccaniche fisiche dello spettro bensì il tentativo imitativo di superare la bidimensione della superficie per descrivere la bellezza della natura e, per riflesso, del cosmo. La frammentazione impressionista che condurrà all’esaltazione della luce elettrica, prima nei Futuristi e successivamente nella Minimal Art, nasce da una visione riduttiva del fenomeno fisico e si basa sull’esclusivo rapporto tra luce e materia. L’esaltazione dell’atomo ha condotto, nel Novecento, all’incorporeità della bellezza e della componente luminosa che cessa di rimandare al divino per vestire, casomai, l’elemento umano di una forma soggettiva di sacralità. Secondo tale visione l’uomo decaduto, prigioniero del caos e della dissoluzione, anela a fuggire dal carcere corporeo del mondo o attraverso un’accentuazione nichilista del suo agire oppure attraverso la trasformazione in entità spirituale e di luce. Il dio “perduto” non è il Cristo che ha sofferto in croce, fattosi uomo e quindi carne e materia, bensì un’entità mitica, “pneumatica” e incorporea alla quale si accede, dimenticando il mondo e la natura, esclusivamente per illuminazione personale, un’illuminazione simboleggiata in svariati modi nell’arte contemporanea secondo l’annullamento del corpo, l’inorganicità delle forme, il caos degli accidenti, la negazione della bellezza, l’esaltazione delle visibili oscurità, l’autoevidenza del reale e dell’istante e la rappresentazione soggettiva delle forze. Il discorso sulla luce, oggi, sembra un lavoro onirico che, attrav
erso l’attitudine diventata forma, ricerca un sublime personale, seguendo un input che ci viene dagli Stati Uniti. Scriveva non a caso Barnett Newman nel celebre testo Il sublime adesso: «Io ritengo che qui in America alcuni di noi, liberi dal peso della cultura europea, siano vicini a trovare la risposta, negando recisamente che l’arte abbia un qualche rapporto con la questione del bello e della sua origine […] Noi stiamo riaffermando il naturale anelito dell’uomo per ciò che più elevato, per tutto ciò che riguarda il suo entrare in relazione con le emozioni assolute […] Invece di costruire cattedrali su Cristo, sull’uomo o sulla vita, le stiamo traendo da noi stessi, dai nostri stessi sentimenti. L’immagine che produciamo è quella “autoevidente”, reale e concreta della rivelazione»[3].

La bellezza come proporzione, ovvero come luogo del senso e del numero, è invece un qualcosa di differente e dipende anche dalla claritas ovvero dallo splendore, dalla luminosità e purezza delle “cose vedute”. I tubi fluorescenti disegnano poetiche riduttive e consumistiche della visibilità, banalmente ermetiche e freddamente artificiali, mentre la luce naturale, come raffigurata da Papa, attiva quel processo che ci permette di percepire ciò che ci circonda come bello e successivamente di poterlo rielaborare, comprendere, capire e apprezzare. Il senso dei suoi paesaggi è il senso del tempo che ci sfugge, del principio della creazione che ormai sembra affievolirsi ma che ci dovrebbe ricordare quando Dio, aleggiando sulle acque, disse «Sia la luce!». E la luce fu. (Genesi 1, 1-5).

C’è un percorso nascosto nei dipinti che ha esattamente a cuore questo svelamento. Le opere che mostrano al centro dei drappi mossi dal vento e che, improvvisamente, fanno apparire la luminosità del sole, e quindi di Dio, ci manifestano un mondo perennemente rivitalizzato dallo spirito divino, da una luce magmatica, in perenne fermento di forze. Non è la luce della gnosi ma del tempo –Il tempo che svela la verità, Lo spazio che svela il tempo sono alcuni dei titoli- che manifesta il profondo senso della bellezza. Conoscersi, in fondo, è luce improvvisa.

*

NOTE

[1]http://it.radiovaticana.va/news/2015/06/02/larte_e_la_luce_in_mostra_a_roma_le_opere_di_rodolfo_papa/1148496

[2] Cfr. H. Sedlmayr, La luce nelle sue manifestazioni artistiche, Palermo 2009

[3] B. Newman, Il sublime adesso, Milano 2010, pp.45-46

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Tommaso Evangelista

Tommaso Evangelista è Storico dell’arte

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