È stata dedicata ai sacerdoti e alle loro problematiche quotidiane, l’omelia pronunciata da papa Francesco durante la messa del Crisma, concelebrata stamattina nella basilica di San Pietro, assieme ai cardinali, vescovi e presbiteri presenti in Roma.
La “stanchezza” e la “fatica”, ha spiegato il Pontefice, sono frutti quotidiani del lavoro apostolico. Alla “stanchezza dei sacerdoti”, il Santo Padre ha dichiarato di pensare “molto” e di pregare “di frequente”, specie quando ad essere stanco è lui e in particolare per quei pastori mandati “in luoghi assai abbandonati e pericolosi”.
La stanchezza dei sacerdoti, tuttavia, “va dritta al cuore del Padre” e anche la Madonna, “come Madre, sa capire quando i suoi figli sono stanchi e non pensa a nient’altro”.
Il Pontefice ha quindi ammonito il clero romano a non cadere nella “tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio”, perché “la nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare: “Venite a me quando siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (cfr Mt 11,28).
Secondo Francesco, “una chiave della fecondità sacerdotale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza”. A tal proposito, ha rivolto ai sacerdoti presenti, le consuete domande per il proprio esame di coscienza: “So riposare ricevendo l’amore, la gratuità e tutto l’affetto che mi dà il popolo fedele di Dio? O dopo il lavoro pastorale cerco riposi più raffinati, non quelli dei poveri ma quelli che offre la società dei consumi?”.
E ancora: “Lo Spirito Santo è veramente per me “riposo nella fatica”, o solo Colui che mi fa lavorare? So chiedere aiuto a qualche sacerdote saggio? So riposare da me stesso, dalla mia auto-esigenza, dal mio auto-compiacimento, dalla mia auto-referenzialità?”.
Le fatiche di un sacerdote non si limitano a “compiti facili, esteriori, come ad esempio le attività manuali – costruire un nuovo salone parrocchiale, o tracciare le linee di un campo di calcio per i giovani dell’oratorio” ma implicano la sua “capacità di compassione”, di partecipazione alla gioia di due fidanzati che si sposano, di un bimbo che si battezza, alla sofferenza per una unzione nel letto di ospedale, al dolore per un funerale.
Per un sacerdote le storie della sua gente “non sono un notiziario” ma qualcosa che dovrebbe toccare la loro anima e che “sempre stanca”.
La fatica del ministero sacerdotale, secondo Bergoglio, si può suddividere in tre categorie. In primo luogo c’è “la stanchezza della gente, delle folle”, che anche Gesù provava quando i suoi discepoli “non gli lasciavano neanche il tempo per mangiare”. Il Signore, tuttavia, “non si seccava di stare con la gente – ha osservato il Papa -. Al contrario: sembrava che si ricaricasse”.
Imitando Cristo, i sacerdoti non possono quindi “essere pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati”. Dovranno, piuttosto, contraddistinguersi per “odore di pecore” e “sorriso di padri”.
C’è poi la “la stanchezza dei nemici”, ovvero “il demonio e i suoi seguaci”, contro i quali “occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere”.
La più “pericolosa” delle stanchezze, tuttavia, è “la stanchezza di se stessi”, che, a differenza delle prime due, è un fatto interiore e non relazionale: “è la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono”.
Ma Gesù, come Egli stesso testimonia nella lavanda dei piedi, “si fa carico in prima persona di pulire ogni macchia, quello smog mondano e untuoso che ci si è attaccato nel cammino che abbiamo fatto nel suo Nome”.
Con tutte le loro “piaghe” e “slogature”, i piedi sono il segno delle “strade” percorse “per cercare le sue pecore perdute, tentando di condurre il gregge ai verdi pascoli e alle acque tranquille”: lavandoli, il Signore “ci purifica da tutto quello che si è accumulato sui nostri piedi per seguirlo”, affinché “ci sentiamo in diritto di essere “gioiosi”, “pieni”, “senza paura né colpa” e così abbiamo il coraggio di uscire e andare “sino ai confini del mondo, a tutte le periferie”, a portare questa buona notizia ai più abbandonati, sapendo che “Lui è con noi, tutti i giorni fino alla fine del mondo”, ha poi concluso il Santo Padre.
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