Sono ore di lavoro incessante, quelle che sta vivendo in queste ore la diplomazia italiana. A poche centinaia di chilometri dalla nostra costa meridionale, in Libia, si inaspriscono le violenze e lo spettro dell’estremismo islamico sembra minacciare a più riprese il nostro Paese. Ad Est, in Ucraina, nelle regioni del Dombass e di Lugansk, la fragile tregua concordata tra le parti non riesce ad arginare i feroci combattimenti che vedono contrapposti l’esercito ucraino e milizie separatiste. In questi due contesti, l’Italia è chiamata a far valere il suo peso come mediatore sulla base della sua posizione geografica e dei rapporti diplomatici maturati nel tempo. ZENIT ne ha parlato con Mario Giro, sottosegretario agli Esteri del Governo italiano.

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In passato, specie nei conflitti mediorientali, l’Italia ha spesso giocato un ruolo di mediazione. È possibile svolgerlo anche nel frangente attuale, in Libia?

L’Italia lo sta già svolgendo nel suo appoggio alla mediazione delle Nazioni Unite. È un compito difficile ma fondamentale, e lo dimostra l’atteggiamento dei vari attori in campo nella crisi libica, i quali interloquiscono volentieri con l’Italia.

Proseguono le minacce via internet all’Italia di presunti esponenti della galassia jihadista. Quanto c’è da temere?

Dobbiamo sempre stare attenti. Ma come è stato già dichiarato da più autorevoli membri di Governo di me, non ci sono minacce specifiche. Queste minacce fanno parte della strategia di comunicazione e propaganda dell’Isis, di cui abbiamo ormai molti esempi.

Una minaccia “indiretta” al nostro Paese è invece rappresentata dalla vicinanza che separa lo stabilimento Eni di Mellitah alla città libica di Sabratha, roccaforte islamista in cui - come si legge in un’inchiesta de Il Giornale - è issata la bandiera nera dell’Isis. Crede che si possa star tranquilli su questo versante?

Da un punto di vista energetico possiamo stare tranquilli. L’afflusso diversificato energetico che serve all’Italia è sotto controllo.

Il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha parlato di possibili legami tra terroristi islamici e organizzazioni mafiose italiane. È uno scenario su cui il Governo sta alzando il livello d’attenzione?

Il livello d’attenzione è alto su tutti i fronti. Personalmente non sono al corrente di questioni come quella di cui parla il magistrato.

La prossima settimana Renzi incontrerà Putin a Mosca. Quanto è importante il contributo russo in Libia e, più in generale, nella lotta contro il terrorismo in Medio Oriente?

Il contributo russo sarebbe molto importante in Siria, anzitutto. Perché la crisi siriana può avere una soluzione soltanto se i russi sono coinvolti. Ed è una cosa che il premier Renzi ha detto più volte. Al di là di questo e del nostro rapporto con Mosca, c’è però la crisi ucraina, che naturalmente ci preoccupa e alla quale speriamo ci sia una soluzione dopo gli accordi di Minsk, ancorché instabili.

Crisi ucraina che verosimilmente sarà al centro dei colloqui tra Renzi e Putin. Non crede che le sanzioni nei confronti della Russia abbiano inasprito le tensioni anziché dirimerle?

Se si guarda, in termini generali, alle sanzioni come mezzo per fare pressione, direi che possono essere utili. Se si guarda alle sanzioni come qualcosa di risolutore, personalmente ho i miei dubbi che funzionino. Negli ultimi vent’anni non abbiamo tantissime prove, del resto, del fatto che le sanzioni abbiano funzionato senza un quadro politico di riferimento. Forse l’unica volta in cui hanno funzionato, fu nel caso del Sudafrica dell’apartheid. Da quel momento in avanti, non mi pare abbiamo sortito tutti gli effetti sperati.

Sanzioni che, nel caso della Russia, hanno provocato anche dei danni alle industrie italiane…

Ovviamente, le sanzioni sono anche un’arma a doppio taglio. Ma non vengono poste pensando a questo aspetto, bensì per cercare di evitare che determinate situazioni degenerino.

In queste ore Stati Uniti e Gran Bretagna stanno discutendo la possibilità di avviare nuove sanzioni contro la Russia. Nel caso l’ipotesi diventasse realtà, quale sarà l’atteggiamento dell’Italia?

Non posso entrare in questi dettagli. Rimane il fatto che l’Italia in questi mesi ha sempre avuto un ruolo importante quando al centro dei colloqui della comunità internazionale ci sono state le varie sanzioni utilizzate nei confronti della Russia. Abbiamo espresso una posizione non sempre in accordo con gli altri Paesi.

Crede che i negoziati in corso in queste ore tra Usa, Europa e Russia possano, se non raggiungere la pace, almeno regolare l’intensità del confitto ucraino?

Certamente questo conflitto va gestito, sono d’accordo. Se non c’è una soluzione immediata, dobbiamo almeno impegnarci a gestire e a contenere il conflitto. È quello che il nostro Paese pensa di fare. Speriamo che la tregua regga e che si consolidi, benché sia molto fragile, come possiamo vedere in queste ore.