La venerabile clarissa Francesca Farnese (1593-1651) è una delle figure rappresentative della spiritualità del Seicento in cui l’affezione a Gesù e Maria si esprime anche attraverso la poesia, ossia un genere letterario privilegiato dai mistici dove partecipazione emotiva e passionalità sono ben presenti, come mostra la sottostante composizione dedicata alla contemplazione di Gesù nel deserto.
A Giesu nel deserto
Chi vuol vedere cose stupende, e nuove
Corra al deserto, e con acceso cuore,
Quivi contempli il sommo alto motore,
Quel, ch’il tutto governa, ordina, e muove.
Quel, che nel cielo ha la sua stanza, hor stassi
In orrido deserto aspro, e sassoso,
Siede soletto à ogni mortal’ascoso
Tra sterpi, e pruni, e tra dirupi, e sassi.
Et è pur quel, cui fan corona intorno
Mille migliaia di beate schiere
D’elette spirti, che con gran piacere
Lodano il nome suo la notte, e’l giorno.
E quello ancor, che sopra i cherubini
Siede, e si posa, e à cui si curva, e piega,
A terra ogni ginocchio, e alcun nol niega
Di far’al di lui nome humil’inchini.
Quello che tremar fa la terra, e’l cielo.
Stà con le membra sue divine, e sante
All’aria, al freddo, pallido, e tremante,
Fatte per amor mio quasi di gelo.
Quello che regge il mondo, e che nutrisce
Fin i polli de’ corvi, et à ciascuno
Il cibo porge in tempo più opportuno,
Hor fatto huomo mortal fame patisce.
Povero è divenuto, erme, e meschino,
Esule fuor del suo celeste regno,
Per far che l’huom, che se ne rese indegno,
Torni a esser del ciel cittadino.
Sono i palazzi suoi caverne, e grotte,
gl’apparati, le spine, i tronchi, i sassi,
Son le sue feste, le delitie, e spassi
I digiuni, il patir di giorno, e notte.
Sono i suoi corteggiani orsi, e leoni,
cervi, caprij, conigli et altre fiere,
Che d’intorno gli vanno à schiere, a schiere,
E stanno al suo cospetto humili, e proni.
Chi d’immenso stupor non verrà meno,
Vedendo tra le fiere habitar Dio?
Chi sarà sì crudele, ingrato, e rio,
A cui di compassion non s’empia il seno?
Chi sarà quel, che non s’elegga in sorte,
Nel deserto habitar fin c’haurà vita,
Facendo compagnia cara, e gradita
Al suo dolce Giesù fin’alla morte?
Io per me quest’eleggo, e vò soletta
Starmi sempre con lui fissa, e mirando
Quel bellissimo volto, contemplando
La deitate in lui chiusa, e ristretta.
Mirando tutt’i moti, gesti, i passi,
Riscalderò delle sue membra il gelo,
Lo seguirò con amoroso zelo
Tra le fiere, trà tronchi, e spine, e sassi.
Asciugarò dalla fronte divina
Il gelido sudor, de gl’occhi il pianto,
Dalle ingiurie del ciel con il mio manto
Cuoprirollo, e starommi à lui vicina.
Infin che venga l’hora fortunata,
Che dal deserto al ciel voli quest’alma,
Dove non meritata eterna palma
Per sua bontà gli tiene Iddio serbata.
***
Per un approfondimento cfr. Da santa Chiara a suor Francesca Farnese. Il francescanesimo femminile e il monastero di Fara in Sabina, a cura di S. Boesch Gajano e T. Leggio (Sacro/santo, 21), Viella, Roma 2013.
Altre poesie della venerabile in:
http://www.assisiofm.it/la-venerabile-francesca-farnese-in-onore-di-maria-assunta-4097-1.html
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