“Nel bambino il dolore è molto frequente, soprattutto nel bambino inguaribile. Il neonato non solo sente più dolore dell’adulto, ma il dolore può lasciare delle tracce persistenti; ciò significa che delle esperienze molto dolorose in epoche molto precoci della vita modificano il sistema della percezione del dolore e possono farlo anche in modo permanente”.
È la riflessione a partire dalla quale cui Marcello Orzalesi, primario della Divisione di Terapia Intensiva Neonatale dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e Direttore del Dipartimento di Neonatologia Medica e Chirurgica, muove per parlare del problema delle cure palliative pediatriche.
Sui problemi legati alla diffusione di queste cure il medico chirurgo ha risposto per ZENIT alle seguenti domande:
Quali caratteristiche ha il paziente pediatrico rispetto all’adulto?
Le sue caratteristiche rispetto all’adulto è che si tratta di un organismo in continuo sviluppo e in evoluzione. Tra un neonato e un bambino di sei anni ci sono più differenze che tra un bambino di sei anni e un adulto. Per questo occorre aggiustare il dosaggio dei farmaci, l’approccio e la comunicazione tenendo conto dello sviluppo di un bambino. La seconda differenza è che di molti farmaci, utilizzati per la terapia del dolore di un adulto, non vi sono confezioni adatte per un bambino piccolo, per cui vi è il problema di usare i farmaci cosiddetti off-label. Il terzo nodo è il coinvolgimento molto maggiore della famiglia, in quanto spesso i genitori sono il tramite comunicativo del bambino.
Quali sono le conoscenze scientifiche sullo sviluppo della percezione del dolore e sul dolore in fase neonatale?
Il bambino prematuro percepisce il dolore più dell’adulto e ne modifica la percezione. Il bambino mostra più tardi una soglia del dolore modificata: ad esempio a sei mesi, quando farà le vaccinazioni, sentirà più dolore degli altri. È inoltre possibile che si producano delle modificazioni dell’espressione dei geni ereditati dalla madre che interferiscono sullo sviluppo del cervello: è stato dimostrato, nei prematuri che devono fare molti prelievi, la correlazione del numero di punture ricevute durante la degenza e lo sviluppo di sostanza bianca e di sostanza grigia del cervello.
Come è vissuta attualmente la nascita prematura di un figlio dai genitori e come si sono evolute le aspettative di vita in questo campo?
Innanzitutto il bambino viene rapidamente separato dalla madre per essere portato in terapia intensiva. La madre nutre rabbia e senso di colpa, poi pian piano acquisisce la capacità di relazionarsi con il bambino. Per questo è importante che le terapie intensive neonatali siano aperte per quanto possibile all’accesso dei genitori, sia al papà che alla mamma, e che essi vengano coinvolti nell’assistenza al proprio bambino; inoltre la comunicazione del personale di assistenza con i genitori è fondamentale e non è facile. La aspettative di vita ormai sono buone, adesso la maggior parte dei bambini che nascono a ventiquattro settimane sopravvive.
Cosa si sta muovendo a favore delle cure palliative pediatriche?
Il recente Congresso internazionale organizzato dalla fondazione Maruzza ha messo in luce come in tutti i paesi si stiano cercando tutte le possibili tecniche e approcci che possano migliorare la qualità di vita del bambino: sollevarlo dalla sofferenza, cercare di mantenerne una vita relazionale con i compagni, gli amici e i genitori.
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La seconda intervista sul tema delle cure palliative pediatriche, realizzata con Franca Benini, responsabile del Centro Regione Veneto terapia del dolore e cure palliative pediatriche, sarà pubblicata domani, sabato 14 febbraio.