Un po’ di anni fa, trovandomi a lavorare in parrocchia nel nostro Convento di Salemi durante il periodo Quaresimale, con un gruppetto di volontari ci siamo avviati ad accompagnare nell’elaborazione del lutto le Famiglie della Parrocchia che avevano vissuto il dramma della perdita di una persona cara, in modo drammatico e, soprattutto, in giovane età. Il tutto realizzando una pastorale di prossimità nella preghiera.
Nell’anno successivo, ho pensato bene di realizzare una preghiera ispirandomi alle parole di esortazione della mamma dei Maccabei all’ultimo Figlio (cfr. 2Mac 7,27b-29), sviluppando il concetto della vita come metamorfosi: Vita nel grembo Materno; Vita nel grembo Terrestre; Vita nel Grembo Celeste.
Devo confidare che ha riscosso un certo interesse, siamo alla terza edizione. Altresì ho sviluppato una riflessione sulla vita da porre come intermedio, tra il brano biblico e la preghiera, che vorrei condividere con i lettori di ZENIT.
Vorrei fare un sobrio ragionamento per mettere in luce le varie metamorfosi che investono la nostra vita. Queste solitamente ci sfuggono, forse a causa della fragilità umana che ci porta a cadere nella tentazione di tenere conto soltanto dei punti estremi che delimitano la nostra esistenza in questo grembo terrestre.
Vorrei ricordare che la nostra Vita, nella normalità dei casi, inizia nel grembo materno per un atto di amore; lì, per nove mesi circa, viviamo un percorso ordinato durante il quale il nostro corpo prende forma e si sviluppa. Mangiamo. Dormiamo. Tiriamo qualche calcio. Forse qualche volta facciamo anche un capitombolo. Viviamo le stesse emozioni di chi ci porta in grembo e anche di chi ci circonda.
Ma arriva un giorno terribile che né io né voi avreste desiderato, in cui l’ambiente vitale ci crea le prime ostilità. Viene meno quel liquido che ci permetteva di muoverci con docilità. La natura ci spinge ad affrontare un varco angusto e doloroso e a nulla valgono le nostre proteste, perché per venire alla luce è necessario affrontare questo passaggio sofferto.
E nonostante tutte le difficoltà, come se non bastasse, una persona dabbene subito si preoccupa di recidere quel cordone ombelicale attraverso cui arrivava a noi tutto il necessario per vivere. Ma mentre con il taglio del cordone si compie questo distacco, scopriamo un modo di vivere “altro”.
Troviamo tante persone intorno a noi e due braccia materne ci fanno risentire quello stesso calore vitale. Impariamo l’uso della bocca, degli occhi, del naso, delle orecchie, delle mani, dei piedi, e tutto ciò ci permette di conoscere spazi infiniti in cui crescere ed esprimere la nostra gioia nell’armonia con ciò che ci circonda.
Scopriamo le bellezze che il Signore ha preparato per noi, Suoi figli, e ci confrontiamo anche con le inevitabili ostilità che la vita riserva. Ciò sino all’arrivo di un altro terribile giorno che né io né tu desidereremmo, che non rientra nella sfera del programmabile e che porta ad affrontare ancora un doloroso passaggio, per cui quello stesso corpo rivive una metamorfosi. Privato dello spirito che lo ha animato esso rimane inerte e privo di vita.
Solo la luce della Fede può rivelarci quel “luogo” celato ai nostri occhi dove l’anima va ad abitare. Solo allora comprenderemo fino in fondo la verità della Vita eterna che il Signore ha preparato con sapienza e amore per ciascuno di noi suoi figli chiamandoci a far festa con Lui nella comunione dei Santi.