Per quelli che il Creatore non esiste (Quinta parte)

L’ermeneutica dell’arte di Gadamer

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Il pensiero gadameriano, dalla pubblicazione di Verità e metodo (1960) in poi, ha influenzato tutta l’ermeneutica contemporanea, infatti questo testo è stato oggetto di accese critiche da parte di Habermas, Hirsch, Albert ed altri.

Gadamer riprende la distinzione tra scienze naturali e scienze umane operata da  Dilthey ed è d’accordo nell’affermare che le scienze dell’uomo si riferiscono a un campo di indagine distinto da quello delle scienze della natura, ma non nel sostenere la necessità di individuare anche per le scienze umane un metodo di indagine costruito scientificamente.

Dilthey, infatti, intendeva elaborare anche per le scienze dell’uomo un metodo di indagine scientifico rigoroso come quello vigente per le scienze della natura. Secondo Gadamer questa intenzione è irrealizzabile perché il sapere scientifico delle scienze umane è fondato sul Verstehen, che, come abbiamo visto, è un esistenziale  e quindi è costitutivo dell’essere umano in quanto tale e non è quindi il frutto di un’elaborazione scientifica.

Nel Verstehen è presente quella che Gadamer chiama la Zusammengehörigkeit, termine che in Italiano è tradotto “coappartenenza”. Con questo concetto il filosofo vuole significare che colui che indaga è coinvolto esistenzialmente nell’oggetto  indagato, quindi soggetto e oggetto si “coappartengono”, a differenza da quanto avviene nella ricerca scientifica (e nella metafisica) nella quale viene “posta tra parentesi” l’esistenza vissuta del ricercatore per costituire, in modo rigoroso, l’oggetto di ricerca ed il metodo ad esso corrispondente. Questa operazione  riduttiva attuata dalla scienza permette di determinare l’oggetto tramite il metodo e viceversa, istituendo un rapporto circolare tra il primo e il secondo.

Nelle scienze umane, diversamente da quanto avviene nelle scienze della natura, l’osservatore non viene “posto tra parentesi” ma è implicato esistenzialmente nella ricerca, perché la sua indagine si attua tramite il Verstehen, che è distinto qualitativamente dall’atteggiamento metodologico; conseguentemente è assente nelle scienze umane qualsiasi forma di metodo.

In Verità e metodo il filosofo sostiene, come è stato detto prima, che il Verstehen è la condizione di possibilità dell’esperienza estetica, storica e linguistica.

Nella prima parte dell’opera, che ha per oggetto l’arte, Gadamer afferma che “l’esperienza dell’opera d’arte implica un comprendere (Verstehen) ed è quindi […] un fenomeno ermeneutico” [1].

Il filosofo critica l’estetica moderna, kantiana e postkantiana, ed evidenzia come questa sia legata a una filosofia della soggettività, la quale occulta la vera natura dell’opera d’arte. L’estetica moderna, infatti, in quanto coscienzialistica considera l’opera d’arte come l’oggetto dei vissuti coscienziali, quindi come un evento il cui significato dipende unicamente dall’esperienza soggettiva dell’interprete.

Scrive in proposito Gadamer: “L’opera d’arte non è un oggetto che si contrapponga a un soggetto. L’essenza dell’opera risiede piuttosto nel fatto che essa diviene un’esperienza che modifica  colui che la fa. Il subjectum dell’esperienza dell’arte, quello che permane e dura, non è la soggettività di colui che esperisce l’opera, ma l’opera stessa” [2]. Criticando la filosofia soggettivistica, sottolinea che “l’arte non è la varietà di mutevoli Elebnisse (vissuti coscienziali), il cui oggetto è riempito soggettivamente di significato come una forma vuota” [3].

L’esperienza estetica, secondo il filosofo, non è mai puramente soggettiva, infatti Gadamer concorda con Heidegger nel sostenere che l’opera d’arte è la “messa in opera della verità” [4], in essa infatti, usando il linguaggio heideggeriano, si deve affermare che si “annuncia” la verità dell’essere.

Nell’opera d’arte, se è veramente tale, un nuovo modo di vedere le cose, cioè un nuovo mondo si  offre all’interprete e in tale mondo l’essere si disvela, ma anche si nasconde in quanto mistero insondabile.

Gadamer sostiene quindi il valore ontologico dell’opera d’arte [5] in opposizione all’estetica moderna e in continuità con l’insegnamento di Heidegger, il quale nel saggio sull’Origine dell’opera d’arte (1935) considera quest’ultima non come l’espressione di un sentimento ma come l’apertura di un mondo.

L’affermazione del carattere ontologico dell’opera d’arte non comporta la negazione della soggettività dell’interprete, ma, diversamente da quanto è sostenuto dalla filosofia moderna, l’esperienza estetica viene intesa come una risposta della soggettività umana a un “appello” ontologico.

Interprete e opera d’arte, quindi, si “coappartengono”. Gadamer concorda con il suo maestro, secondo il quale “l’artista è l’origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista” [6]. L’estetica ontologica gadameriana, in opposizione a quella moderna  coscienzialistica, reinterpreta il ruolo e la funzione che la soggettività detiene nel campo artistico perché l’origine dell’opera d’arte è individuata nell’essere stesso e non nell’artista o nel fruitore dell’opera.

La natura della relazione che lega l’interprete all’opera d’arte viene esplicitata ed esemplificata tramite un’ontologia del gioco, infatti, secondo il filosofo, “il concetto del gioco […] caratterizza l’autentico evento dell’arte” [7].

Egli ritiene infatti che come nell’attività ludica è il giocatore che effettivamente gioca,  ma all’interno di un insieme di regole che costituisce il gioco stesso e dal quale quindi dipende l’attività ludica [8], così, analogamente, nella produzione o fruizione estetica è l’interprete che produce o fruisce dell’arte, ma all’interno dell’apertura ontologica, cioè del mondo, che è dischiusa dall’opera d’arte.

L’opera d’arte, in quanto apertura di un mondo, è portatrice di un messaggio ontologico inesauribile, la cui comprensione-interpretazione (Verstehen Auslegung)[9] si pone come una dimensione intermedia tra la soggettività e il mondo aperto dall’opera d’arte.

La verità artistica viene quindi “conosciuta” tramite il Verstehen Auslegung e ciò è possibile perché tra l’interprete e il mondo dell’opera d’arte si instaura un rapporto di coappartenenza (Zusammengehörigkeit), quindi né di pura identità né di pura differenza, ma di appartenenza reciproca. L’interprete può quindi comprendere (mai esaustivamente) la verità di un’opera d’arte perché ad essa è esistenzialmente aperto.

[La quarta parte è stata pubblicata sabato 31 gennaio]

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NOTE

[1] H. G. Gadamer, Verità e metodo, a cura di G. Vattimo, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1972, p. 129.

[2] Ibidem, p. 133.

[3] Ibidem, p. 148.

[4] M. Heidegger, Sentieri interrotti, Presentazione di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1985, p. 21.

[5] Cfr. ibidem, pp. 25-131.

[6] Ibidem, p. 3.

[7] H. G. Gadamer, Verità e metodo, cit., p. 178. Il corsivo è nel testo; così anche in seguito salvo diversa indicazione.

Gadamer specifica che “quando, a proposito dell’esperienza dell’art
e, parliamo di gioco, questo termine non indica il comportamento o lo stato d’animo del creatore o del fruitore, e in generale la libertà di un soggetto che si esercita nel gioco, ma l’essere dell’opera stessa” (ibidem, p. 132).

[8] Il filosofo scrive in proposito: “Il soggetto del gioco non sono i giocatori, ma è il gioco che si pro-duce attraverso i giocatori” (ibidem, p. 133).

[9] Riguardo al processo di comprensione dell’opera d’arte, Gadamer scrive: “Ogni opera d’arte, non solo letteraria, va compresa come ogni altro testo, e questo comprendere esige una capacità specifica. In tal modo la coscienza ermeneutica acquista un’ampiezza che supera anche quella della coscienza estetica. L’estetica deve risolversi nell’ermeneutica” (ibidem, p. 202).

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Maurizio Moscone

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