Bartolo Cattafi: un itinerario poetico di conversione religiosa

Alla riscoperta dell’appassionata opera del poeta siciliano, intrisa di solitudine e dei traumi della guerra

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Affermava il grande maestro di giornalismo Sergio Zavoli che “nel nostro paese ormai si vive in prosa”, riferendosi alla deriva culturale che attanaglia la vita civile e che si manifesta anche in quegli organi della società che dovrebbero trasmettere la cultura. Questo stato di cose ha fatto sì che la poesia, venisse marginalizzata dal sistema editoriale e mediatico. Con la conseguenza che alcuni grandi poeti che hanno interpretato con le loro opere la temperie culturale del ‘900, sono oggi pressoché sconosciuti al grande pubblico, rimanendo confinati nell’ambito degli studi accademici.

È questo il motivo per cui ZENIT ha deciso d’intraprendere, accanto alla promozione delle voci attuali della poesia, anche un percorso di riscoperta dei più significativi poeti del secolo appena trascorso, con particolare riferimento ai poeti d’ispirazione religiosa.

È oggi la volta di Bartolo Cattafi (1922-1979), siciliano trapiantato a Milano, che ha attraversato in prima persona gli eventi traumatici della guerra, che si riflettono nella sua poetica con un bilancio intriso di vuoto e di solitudine.

Nello scenario della poesia italiana del secondo dopoguerra, Bartolo Cattafi viene ritenuto una delle personalità più incisive ed intense tra i figli di una generazione che – per usare le parole del critico letterario Giuseppe Amoroso – ha vissuto una consistente parte della propria vita “alla stregua di chi viene dopo il diluvio”. 

Queste cose terrestri 

che scoppiano tra i piedi come rose

le raccatti ammirato le porti

ai più alti ripiani

e perdi il lume degli occhi

non vedi

le altissime cose

cadute in frantumi.

In quel muro in quel foglio

nell’area bianca che la tua mano cerca

il mignolo bagnato nell’inchiostro

sopra strisciato con fiducia

azzurro corso d’acqua rapinoso

vena arteria in cui scorre

a occhi chiusi il mondo.

Coloniali parole

gregarie filiformi

da te lasciate in un luogo

in un discorso

nidiata

ora straniera

ritornante rimorso

fosforo stridente

nel sonno della sera.

Alessandro Zaccuri, giornalista e critico letterario di Avvenire, spiega in un suo intervento su Rai Cultura che “la poesia intitolata Queste cose terrestri riproduce in maniera esemplare uno dei tratti caratteristici dell’opera di Cattafi, e cioè l’intuizione mistica della sostanziale identità delle cose. La sostanziale identità di ciò che sta in alto e di ciò che sta in basso. Quella di Cattafi – continua Zaccuri – è una poesia che ha una straordinaria spinta verticale, ma è una spinta che parte dalla terra, dalle cose terrestri. E non parte dalla terra soltanto dal punto di vista concettuale, ma anche nella scelta dei termini. È una poesia di grandissima semplicità e densità lessicale”.

A Milano Cattafi entra in contatto con intellettuali e poeti che diverranno suoi sostenitori ed amici, tra i quali Giovanni Raboni, Vittorio Sereni e Vanni Scheiwiller. Sarà grazie a loro che inizierà a pubblicare i suoi versi su riviste e antologie. La sua prima raccolta poetica, Nel centro della mano, esce nel 1950 e sarà l’avvio di un percorso costellato di crescenti consensi che lo porterà a vincere il Premio Cittadella nel 1959.

La sua produzione poetica raggiunge l’apice nel 1964 con la raccolta L’osso, l’anima, edita da Mondadori. Raccolta che chiude la prima parte della stagione creativa del poeta e ne sancisce la definitiva affermazione con la vittoria al Premio Chianciano. Ma a questo successo segue un esito inatteso: Cattafi smette improvvisamente di scrivere. Sono all’origine di questa scelta: il matrimonio, il ritorno in Sicilia e i suoi nuovi interessi artistici rivolti alla fotografia e alla pittura.

Dalla raccolta L’osso, l’anima, ecco una bella poesia intitolata La sede adatta:

L’anima dilata

deforma questi oggetti della terra,

carica le cose d’assoluto,

altera colori, sconvolge

volumi, valori, affida

nobili poteri a corpi vili.

Muove fuochi e pensieri all’infinito

mentre il cerchio è già scritto nel suo giro

e l’immobile centro allunga raggi

i monotoni raggi fino al limite.

L’anima non trasmodi

non faccia movimenti esagerati,

se li fa taccia

– non si lagni quando

casca nel concavo, in un fosso

o sbatte sulla piatta superficie.

Quello che lei vuol fare

è un altro discorso.

E questa non è la sede adatta.

In questa poesia si avverte chiaramente il senso dell’itinerario di conversione religiosa intrapreso dal poeta sotto la guida del gesuita Federico Weber. Un esito riconducibile a pratiche di riflessione personale che l’avevano portato alla “consuetudine quotidiana della meditazione e della preghiera”.

Ed ecco un altro componimento, intitolato Oggi, anch’esso appartenente alla raccolta L’osso, l’anima, che, nello stile semplice e diretto di Cattafi, esprime una visibile ansia di ricerca spirituale:

Oggi ignorando tutto

di questo giorno,

se d’Avvento o Passione,

ignorando i colori, le pianete,

m’inginocchio nella tua casa

sotto la tenda che portiamo ovunque

per aprirla per chiuderla a tua offesa,

aprirla ancora, nei boschi

in fuga, su secchi, su frangenti,

dal capolinea a un punto della corsa.

Non frugarmi, non chiedere.

Tu sai il perché d’un labbro

che tremando si sporge più dell’altro.

Accoglimi.

Assieme ai pesci sguazzanti all’ingrasso

nell’acqua del Giordano

nella tua conca di marmo,

ai due cani

ringhiosi clandestini

che baruffano nell’angolo più buio

della tua navata.

Il 1971 segna l’inizio della seconda fase creativa del poeta. Cattafi riprende a scrivere e pubblica le sue maggiori raccolte di versi, ottenendo importanti riconoscimenti letterari, tra cui il premio Mondello nel 1975. Questi i titoli più importanti: L’aria secca del fuoco (1972); La discesa al trono (1975); Marzo e le sue idi (1977); L’allodola ottobrina (1979). 

Da quest’ultima raccolta, ecco un altro intenso componimento d’ispirazione religiosa, intitolato Cammino:

Tu che mi scorri accanto

come un’acqua fedele nel cammino

di volta in volta raddrizzi paesaggi

storte visioni

alle cose imponi

una dolce chiarezza

e l’enigma è sciolto

tutto in un filo

il cammino allungato.

È l’ultima opera pubblicata, perché il 13 marzo 1979 Cattafi muore a Milano, lasciando un cospicuo numero di poesie inedite che verranno pubblicate postume grazie alla dedizione degli amici, tra i quali si contano, oltre ai già menzionati Raboni, Sereni e Scheiwiller, anche il critico letterario Luigi Baldacci e il docente universitario e poeta Silvio Ramat. 

***

In occasione della festa di San Valentino che ricorre il 14 febbraio, la rubrica di poesia di ZENIT sarà dedicata alle poesie d’amore.

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Massimo Nardi

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