Oltre alla memoria di Sant’Agata – martire, come si sa, del III secolo, probabilmente ai tempi dell’imperatore Decio – la Chiesa ricorda il 5 febbraio una straordinaria figura di donna, sposa e madre: la beata Elisabetta Canori Mora (Roma 1774-1825).
Proveniente da famiglia agiata e di sani principi religiosi, una grave crisi economica costrinse i genitori ad affidare Elisabetta (e Benedetta, ultima sorellina, di una “nidiata” numerosa) a uno zio di Spoleto. A Cascia verrà affidata alle cure delle Suore Agostiniane, mostrando fine intelligenza e profonda pietà.
Tornata a Roma, per alcuni anni si abbandonò alle vanità “del mondo” – senza mai per altro trascendere i limiti della correttezza morale – sentendone poi rimorso per tutta la vita. La sorella Benedetta si farà nel frattempo Religiosa, nel 1795, mentre Elisabetta resterà accanto ai suoi, soprattutto per sostenere la sua famiglia, ancora in rilevanti difficoltà.
Tutta la sua successiva vicenda terrena fu segnata dalla sofferenza. Il felice matrimonio (gennaio 1796) con Cristoforo Mora – giovane brillante e virtuoso, che sembrava promettere un sereno e gioioso cammino di coppia – in realtà naufragò poco tempo dopo. Cristoforo si invaghì di un’altra donna e per tutto il resto della vita Elisabetta dovette subire umiliazioni di ogni genere, vessazioni fisiche e morali, disagi economici, nella quotidiana fatica di condurre avanti la sua famiglia. Dalla loro unione erano nate infatti due figlie, che la madre educò da sola, con indicibile dolcezza e tenerezza.
Nel rapporto interiore incessante con Dio, Elisabetta trovò la forza di non arrendersi mai: di custodire eroicamente la fedeltà nei confronti dell’indegno marito, pregando sempre fiduciosamente per il suo ravvedimento e la sua conversione; di occuparsi dei poveri e degli indigenti – che sempre più numerosi bussavano alla sua porta – senza trascurare i suoi primari doveri verso la propria casa.
Il Signore le concesse doni singolari: esperienze mistiche, “scrutazione dei cuori” e spirito di profezia, suscitando una “fama” di santità sempre più vasta, nella Capitale e intorno a Roma.
Chiuse la sua esistenza il 5 febbraio del 1825 e fu sepolta nella chiesa di San Carlo alle quattro fontane, conosciuta popolarmente come “San Carlino” – piccolo edificio sacro, vero gioiello e capolavoro del Borromini, posto nelle vicinanze del Quirinale – affidato ai Padri Trinitari, di cui lei stessa era divenuta terziaria. Morendo, offrì la sua vita per lo sposo, per il Santo Padre, per la Chiesa e per la sua amata città di Roma.
Cristoforo – come Elisabetta gli aveva profeticamente predetto – dopo la sua morte cambiò completamente vita: ritrovò la fede, si accostò alla spiritualità dei Trinitari e infine divenne sacerdote tra i Frati Conventuali, ormai avanzato in età, morendo anch’egli poi in concetto di santità.
L’esempio di Elisabetta – forse ancora tutto da scoprire, per la forza incrollabile della fedeltà al giuramento fatto, dinanzi all’altare, e custodito con ferma e invincibile determinazione – può senza dubbio accompagnare la riflessione della Chiesa in questi mesi, che ci preparano al Sinodo sulla Famiglia. La sua offerta quotidiana; l’abbandono generoso alla volontà di Dio; la rivoluzionaria, creativa e travolgente forza del perdono indicano un cammino “controcorrente”, sempre attuale, capace di proporre alle tante crisi della Famiglia la ricetta – sempre antica e sempre nuova – che sa rigenerare, nella Grazia, anche le situazioni apparentemente più compromesse e devastate.
Elisabetta fu una donna come tante, ebbe le sue giovanili innocenti “debolezze”, ma quando incontrò profondamente il Signore credette sul serio alla forza della Fede e nel suo cuore, pieno di carità per tutti, un posto privilegiato l’ebbe proprio Cristoforo: fedifrago, indegno sposo, ma risanato dalla ostinata volontà di sua moglie di amarlo sempre e comunque, per avere la gioia di ritrovarlo poi, per sempre, nella comunione eterna del Cielo. Addirittura quale ministro di Cristo e della sua misericordia, grazie alla sofferta intercessione di una creatura totalmente immolatasi per lui.
Fu beatificata, con un’altra sposa e mamma santa, Gianna Beretta Molla, da Giovanni Paolo II, il 24 aprile 1994. Nella omelia disse: “Donne d’eroico amore. Ambedue spose e madri esemplari, impegnate a testimoniare nella vita quotidiana i valori esigenti del Vangelo… Elisabetta Canori Mora, in mezzo a non poche difficoltà coniugali, dimostrò una totale fedeltà all’impegno assunto con il sacramento del matrimonio e alle responsabilità da esso derivanti. Costante nella preghiera e nell’eroica dedizione alla famiglia, seppe educare cristianamente le figlie ed ottenne la conversione del marito. Additando queste due donne come modelli di cristiana perfezione, desideriamo rendere omaggio a tutte le madri coraggiose, che si dedicano senza riserve alla propria famiglia, che soffrono nel dare alla luce i propri figli, e sono poi pronte ad intraprendere ogni fatica, ad affrontare ogni sacrificio, per trasmettere loro quanto di meglio esse custodiscono in sé”.