Tre giorni, tre Paesi diversi: Giordania, Palestina e Israele. Quattordici discorsi. Celebrazioni a carattere religioso mescolate con conflitti, culture, storie di dimensioni millenarie. Incontri con gli esponenti dei tre Stati; e poi rabbini, patriarchi, gran Muftì, famiglie, bambini, profughi, disabili, sopravvissuti ai campi di sterminio. Il tutto con un unico obiettivo: ascoltare, consolare, confortare, cercando di sanare le ferite, manifestando l’umiltà, la pazienza, la misericordia e il perdono di Dio.
Fin dal primo giorno, in molti sono rimasti stupiti dal comportamento di Papa Francesco. Di altissima dignità nel suo abito bianco, ma per nulla regale se non nella disponibilità ad essere “servo dei servi”. Come Cristo. Nessuna presunzione, anzi pazienza, umiltà, attenzione e compassione nell’ascoltare le persone vittime di ingiustizie di entrambe le parti.
Affettuoso con i profughi e i disabili sulle rive del fiume Giordano. Comprensivo e premuroso con i bambini palestinesi che vivono nei territori occupati. Commovente con i sopravvissuti della Shoah. Lui, il Papa, è andato da queste persone che hanno vissuto l’inferno nei campi di sterminio nazista, gli ha preso le mani e gliele ha baciate. Francesco ha ascoltato le parole dei sopravvissuti. Con l’ultima, che era una donna, ha condiviso in silenzio il dolore dovuto a quei ricordi.
I discorsi del Papa sono stati brevi ma chiari e intensissimi. In Giordania, ha chiesto la pace per la Siria e nella regione mediorientale. In Palestina ha placato le rivendicazioni anti ebraiche aprendo una strada per la pace e l’indipendenza. In Israele, ha condannato la violenza ed il terrorismo antisemita, assicurando il sostegno della Santa Sede all’integrità dello Stato ebraico. Al palestinese Abu Mazen e al Presidente di Israele Shimon Peres ha offerto la sua “casa” a Roma per un incontro di preghiera. E i due Capi di Stato hanno prontamente accettato.
Ciò che le forze politiche, i governi e la comunità internazionale non sono ancora riusciti a fare, cioè mettere insieme ebrei e palestinesi per dialogare sulla pace, Papa Francesco lo sta facendo. Non abbiamo le immagini ma possiamo supporre che il viaggio del Pontefice è stato molto simile agli incontri che San Francesco ebbe nella Terra Santa.
E poi i gesti che sono valsi più di mille parole. Quei gesti che lui ha confermato essere “spontanei”, “non preparati” nella conferenza stampa nell’aereo di ritorno. Durante il suo pellegrinaggio, il Papa si è appoggiato in preghiera al Muro che divide a Betlemme i territori palestinesi da quelli ebraici. Il Pontefice ha usato la pala per piantare l’ulivo nel palazzo presidenziale di Israele a Gerusalemme. Un altro ulivo lo ha piantato nel Getsemani, accanto a quello piazzato dal suo predecessore Paolo VI durante la sua visita in Terra Santa del 1964. Come Montini, anche Francesco ha fornito un enorme contributo ecumenico. Il Pontefice insieme al Patriarca Bartolomeo si è inginocchiato in preghiera ed ha baciato il sepolcro di Cristo. La dichiarazione congiunta tra il Pontefice di Roma e il Patriarca di Costantinopoli non ha precedenti nella storia.
Infine c’è una foto, che ha fatto il giro del pianeta e che è stata ripresa e “postata” nelle pagine di Facebook di tutto il mondo. In diversi milioni l’hanno vista e fatta vedere. L’immagine ritrae Papa Francesco che abbraccia il rabbino Abraham Skorka e l’esponente islamico Omar Abboud. Alle loro spalle, il Muro Occidentale, il cosiddetto “Muro del pianto” di Gerusalemme. I tre sono così abbracciati che nella foto non si vedono i volti ma solo i copricapo: il solideo bianco del Papa, la kippah blu del rabbino, e la shashia bianca del musulmano. I diversi copricapo sono i segni sacri del fraterno abbraccio tra le tre fedi di tradizione abramitica.
Ha scritto una lettrice di ZENIT a commento della foto su Facebook: “Splendida! Commovente nella sua forza espressiva. Grande nel significato. Un senso di pace che riempie il cuore!”. Che dire di più? Il ciclone di pace e bontà che è Francesco, è in moto per spazzare le forze del male che ancora dividono e incendiano la Terra Santa.
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Per ogni approfondimento: “Un ciclone di nome Francesco”
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