Sono concetti dagli echi biblici quelli che sintetizzano l’augurio che il Papa ha rivolto, stamattina, ai popoli della regione mediorientale. Davanti alle Autorità palestinesi, radunate nel palazzo presidenziale di Betlemme, il Pontefice ha infatti auspicato per loro “un felice esodo verso la pace” e che “le spade si trasformino in aratri”.
Giunto dalla Giordania, il Papa ha raggiunto Betlemme intorno alle 9.00, ora italiana. Ad accoglierlo, in eliporto, il nunzio apostolico Giuseppe Lazzarotto, il patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal, l’arcivescovo greco-melkita Yaser Rasmi Hanna Al-Ayyash e il custode di Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa. Si è aggiunto al seguito papale anche il rabbino argentino Abraham Skorka, mentre il segretario generale dell’Istituto di Dialogo Interreligioso di Buenos Aires, Omar Ahmed Abboud, si era unito alla delegazione già ad Amman.
La delegazione si è dunque recata al Palazzo presidenziale, dove l’aspettava un sorridente Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, definito da papa Bergoglio “uomo di pace e artefice di pace”.
È proprio la pace il tema che il Santo Padre ha affrontato sin dall’inizio del suo discorso. “Sono grato al Signore – ha esordito – di essere oggi qui con voi nel luogo in cui è nato Gesù, il Principe della Pace, e vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza”.
Pace che resta un chimera in Medio Oriente, che “da decenni vive le drammatiche conseguenze del protrarsi di un conflitto che ha prodotto tante ferite difficili da rimarginare”. Una situazione che produce effetti anche quando “fortunatamente non divampa la violenza”, a causa dell’ “incertezza della situazione”, come “diritti negati, isolamento ed esodo di intere comunità, divisioni, carenze e sofferenze di ogni tipo”.
Il Vescovo di Roma ha sospirato: “Vorrei dire dal profondo del mio cuore che è ora di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti”. Per questo invita a raddoppiare “gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile”. È giunto il momento, ha proseguito, “di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti”.
Cammino verso la pace che porterà “innumerevoli benefici per i popoli di questa regione”, ma che implica sacrificio. “Occorre dunque – la riflessione del Papa – incamminarsi risolutamente verso di essa, anche rinunciando ognuno a qualche cosa”. C’è bisogno allora di “coraggio” e “fermezza” per compiere questo “felice esodo”.
Il Vescovo di Roma, come aveva già fatto ieri durante il discorso alle Autorità giordane, ha poi chiamato in causa quale modello “l’attiva comunità cristiana”, che “offre il suo significativo contributo al bene comune della società e che partecipa alle gioie e sofferenze di tutto il popolo”
Rivolgendosi poi ad Abu Mazen, il Papa ha ricordato che il precedente incontro avvenuto in Vaticano e la suo odierna presenza in Palestina “attestano le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, che mi auguro possano ulteriormente incrementarsi per il bene di tutti”. È dunque tornato a parlare della comunità cattolica, elogiando che nell’Accordo tra le Parti in conflitto vi è una “speciale attenzione alla libertà religiosa”, la quale è “un fondamentale diritto umano”.
La convivenza, del resto, “testimonia che le cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibile individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico Dio”.
Prima del commiato, il Santo Padre ha augurato che Dio conceda “la saggezza e la forza necessarie” ai popoli della regione per “portare avanti il coraggioso cammino della pace” in modo che “le spade si trasformino in aratri e questa Terra possa tornare a fiorire nella prosperità e nella concordia”.
Parole, ma anche gesti da parte di papa Francesco. Eloquente quello che ha segnato il suo trasferimento dal Palazzo presidenziale alla piazza della Mangiatoia. Costeggiando il muro che il governo israeliano ha innalzato per dividere Israele dai territori palestinesi, il Papa ha fatto fermare la jeep sulla quale viaggiava e si è recato per raccogliersi in qualche istante di preghiera presso questa barriera di cemento. Immagine destinata a fare storia.