La corsa verso la vita artificiale sembra ormai essere inarrestabile. Un gruppo si scienziati dello ScrippsInstitute di La Jolla (California) ha ottenuto il primo organismo vivente con un Dna semisintetico in grado di replicarsi. Accanto alle tradizionali quattro lettere che formano l’ “alfabeto della vita”, nel Dna di un batterio ne sono state aggiunte altre due, chiamate X e Y. Le ultime nate, infatti, sono state introdotte nel Dna di un Escherichia coli, un batterio molto comune e spesso utilizzato nei laboratori.
“La creazione di un Dna semisintetico in vitro non è una novità – ha precisato il medico e giornalista Luigi Ripamonti sul Corriere della Sera dello scorso 8 maggio -, in questo caso però è stato ottenuto un risultato ben più difficile, cioè l’incorporazione del Dna modificato in un microorganismo vivente, capace poi di replicarsi e di trasmettere il suo nuovo codice genetico alla propria progenie”. L’obiettivo della ricerca consiste nel trovare nuove applicazioni attraverso questi batteri “ingegnerizzati”: da nuovi farmaci a nuove forme di nanotecnologie.
“Se la finalità è di aumentare il potere di alcuni individui, ad esempio i politici, è eticamente riprovevole. Un conto è migliorare la condizione umana, un altro è favorire una parte del genere umano. I progressi della scienza devono restare a disposizione di tutti, e non diventare un privilegio di pochi”, ha commentato Francesco D’Agostino, ordinario di Filosofia del Diritto, sulle colonne del Corriere della Sera della scorsa settimana.
Non tarda ad arrivare la replica: “Tutto ciò che la scienza può acquisire per migliorare la nostra condizione è un vantaggio innegabile, purché si resti entro certi confini”, ha spiegato Lorenzo D’Avack, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica, alla giornalista del Corriere della Sera Margherita De Bac. Ed ancora: “Anche se volessimo, è utopistico pensare che la scienza possa essere fermata. Nel caso specifico, se la ricombinazione del Dna serve per trovare soluzioni terapeutiche capaci di migliorare la salute dell’uomo, eventuali limiti andrebbero contro i nostri interessi. D’altronde nessuno si faccia illusioni. Questo percorso è inarrestabile. La manipolazione del mondo naturale per migliorare la nostra salute sarà sempre più spinta”, ha sottolineato D’Avack, precisando che l’ “unico” rischio che si corre “è che si vada verso il potenziamento della stirpe, creando così delle disparità”.
Mentre le scoperte dell’ingegneria genetica vengono annunciate con un certo clamore, al contrario diverse domande etiche sembrano passare sotto il silenzio dei media. Il silenzio più pericoloso. “Infatti si tratta di decidere se, e in quale misura, intervenire sul patrimonio genetico degli esseri viventi, e specialmente dell’uomo. È una questione che riguarda tutta l’umanità, e non solo gli esperti, siano essi scienziati o politici”, ha scritto Michele Aramini sull’inserto. È vita di Avvenire dello scorso 15 maggio.
Direi che siamo su una frontiera ormai estrema. “Uno degli aspetti più sorprendenti non sono tanto le differenze tra le cellule, ma come tessuti e organi lavorano in modo coerente nonostante queste differenze”, ha spiegato Nicholas Navin, professore di Genetica all’Università del Texas, intervistato da Marta Paterlini per TuttoScienze de La Stampa lo scorso 14 maggio. Il genetista americano è poi sceso nel dettaglio: “Decifrare la relazione tra un neurone e l’altro, e come crescano, oppure capire come una cellula staminale pluripotente diventi una cellula specializzata (il neurone, appunto) avrà un fortissimo impatto sulla medicina rigenerativa. E non soltanto. Comprendere le differenze fra il Genoma di singole cellule all’interno dello stesso organismo darà indizi decisivi per studiare come evolve nel tempo il tumore”.
A noi, comunque, sembra che il principio di libertà della scienza debba trovare una sua armonia con le irrinunciabili esigenze di un’informazione corretta, e con il diritto dei cittadini ad essere corresponsabili. Il primo passo è un’informazione etica, e che possa essere a disposizione di tutti.