"Nulla è impossibile a Dio"

Commento al Vangelo della VI Domenica del Tempo di Pasqua 2014

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La notizia più bella che potremmo ricevere: non saremo mai orfani. Accada quel che accada. E’ l’opera del Signore, il trofeo conquistato entrando vittorioso nel Cielo. Tutta la vita di Gesù, il suo cuore, la sua mente, le sue forze sono per noi, il suo Spirito effuso nei nostri cuori fa di noi Cristo stesso, ci unisce a Lui al punto di essere trasformati in Lui. 

Forse non comprendiamo la portata di questa notizia che il Vangelo di questa domenica ci annuncia: “… brillando a noi l’Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica” (San Cirillo di Alessandria). Probabilmente sino ad ora abbiamo visto e sperimentato accanto a noi la presenza e l’opera del Signore. Ha “dimorato presso di noi”, nei nostri genitori, nei fratelli della comunità, nei santi, in tanti testimoni che ci hanno preceduto o che vivono accanto a noi. 

Noi stessi abbiamo fatto l’esperienza di poter perdonare l’imperdonabile, di rinunciare ai beni materiali, di aprirci alla vita vivendo una sessualità matrimoniale nella volontà di Dio. Abbiamo gustato la bellezze di un fidanzamento casto, la pace di poter rinunciare alla nostra volontà per compiere quella di Gesù. Ma forse ci troviamo angosciati, quanto sperimentato non ha colmato le nostre aspettative, ci manca qualcosa.

Come quando un figlio gioisce della presenza rassicurante di suo padre, ne apprende le movenze, ne assorbe i criteri, sperimenta la sua forza superando con lui le prove della vita; ma, alla sua morte, si sente orfano, a fatica cerca nei ricordi la gioia perduta, quello che ha ricevuto è sì suo patrimonio, ma inciampa nella sua natura, si ritrova debole e incapace di vivere al sicuro come prima. 

E così è di ogni relazione, anche dello stesso matrimonio, che unisce gli sposi più di ogni altro rapporto, in una sola carne. Ma anche nel matrimonio più riuscito, si sperimenta la precarietà, la transitorietà, l’intermittenza dell’amore, della condivisione. 

Vi sono momenti nei quali, anche se l’amore dell’altro aiuta e dà forza, anche se chi ci è accanto partecipa con tutto se stesso alle nostre vicende, dobbiamo fare da soli, e ci sentiamo persi: il ricordo di nostro padre, l’intima vicinanza dei figli, il mistero sacramentale che ci lega al nostro coniuge, tutto ciò non ha potere in noi, questa malattia è cosa mia, questo dolore lancinante, la paura della morte, l’umiliazione ricevuta sul lavoro, l’invidia patita, la tentazione di peccare, forte, acuta, magari travestita di giustizia. 

Ci sono momenti in cui sperimentiamo la necessità di avere in noi una fonte che non si esaurisca all’apparire del punto critico, dell’istante in cui è necessario un supplemento di amore, una forza soprannaturale per entrare nella storia di dolore e di morte che ci presenta la vita.

Sono i momenti in cui sperimentiamo di essere “orfani”, e non ci basta sapere e vivere la prossimità del Signore, abbiamo bisogno di più. Ed è ciò che ritroviamo al fondo di noi, quando per esempio siamo innamorati e non vorremmo staccarci dall’amata, e anche l’accompagnarla a casa ci procura pena, e vorremmo prolungare il tempo con lei all’infinito, e desidereremmo abbattere ogni distanza ed essere in lei, e lei in noi, e perdersi in questo amore. 

Molto di più tra due sposi, quando non ci si capisce e si comincia a litigare per affermare se stessi è vero, ma vi è qualcosa di più, l’anelito a superare le incomprensioni, a distruggere le barriere dell’alterità, ad amare davvero, ad essere uniti nel pensiero che orienta le scelte, nei criteri per educare i figli, ad essere pienamente quello che il sacramento afferma e vuol realizzare. 

E ci scontriamo con i limiti della carne, la moglie non può permanere nel marito, come egli non può dimorare per sempre nella moglie. Per il sacramento questo si realizza misteriosamente, e le fedi che i coniugi portano al dito ovunque vadano ne sono il segno. La forza del Signore li conduce a perdonarsi, a ricominciare, a rinnegare se stessi per amore. 

Ma è tutto dentro i limiti di questa carne che descrive un perimetro reale. La moglie non può vivere la malattia del marito, ne può essere solo partecipe, magari sino in fondo, sino a provarne gli stessi dolori, ma non è la sua malattia. Così come non può proteggere il figlio dagli errori, dalle malattie, dai peccati.

Per tutto questo, oggi Gesù ci annuncia qualcosa di grande, il compimento di ogni nostro desiderio, di quelli che appaiono nel matrimonio, nel fidanzamento, nell’amicizia, in tutto. Il Signore è l’unico che non si ferma ad essere “presso di noi”, ma viene a “dimorare in noi”, per sempre. 

E’ l’unico che si fa mangiare, che diviene cellule delle nostre cellule, ed irrora la nostra mente del suo stesso sangue, dà forza alle nostre mani, ci apre gli occhi, ci insegna ad ascoltare, ci dà tutto di se stesso.

Non siamo “orfani” allora, siamo figli dello stesso suo Padre, per sempre. Tutto di Lui è nostro come tutto di noi è ormai suo. La nostra vita diviene così come un tabernacolo, colma della santità, della dignità, della bellezza di Cristo. 

Ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo, Egli dimora in noi attraverso lo Spirito Consolatore, il soffio della vita di Dio – del Padre e del Figlio – che ci con-sola, sta-con-chi è solo: lo Spirito Santo che è disceso sulla Vergine Maria generando in Lei la carne umana del Signore viene in soccorso alla nostra debolezza, colma la nostra solitudine, quella più profonda che sperimentiamo nei momenti più difficili, nei Getsemani e sulla Croce che ci attendono ogni giorno: perché “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”.

“In quel giorno”, il giorno della Pasqua, oggi, “noi sapremo che io sono nel Padre e voi in me e io in voi”; come? Passeggiando con la fidanzata è lo Spirito Santo che ci con-sola, che ci unisce “nel” Figlio e con Lui “nel Padre”, affinché non esigiamo consolazione dall’affetto e dalla carne di lei; è il Consolatore che dà senso alla nostra giornata di lavoro, perché tutto è vissuto “nella” Trinità, aiutandoci a prendere su di noi le mansioni più umili perché sono frammenti di vita eterna, a non rifiutare l’umiliazione, e a non cercare consolazione in alienazioni che finiscono col ferirci.

E’ lo Spirito di Gesù, il suo respiro in noi che ci fa “vivi perché Lui è vivo” oltre ogni morte e peccato, che ci schiude gli occhi del cuore e della mente per vederlo incarnato laddove “il mondo non lo può vedere”: nella moglie, nel marito, nella suocera, nei figli, nei colleghi, in ogni evento, anche quando tutto e tutti sembrano volgersi contro di noi, come nemici. 

E’ lo Spirito Santo che ci dona la vita stessa di Cristo, quella che ha amato anche i nemici, che ha vinto il peccato e la morte, che ci fa “vivere in Lui e come Lui nel Padre”, e guardare tutto con gli stessi suoi occhi. E’ lo Spirito Santo che ci fa discernere l’opera di Dio per rigettare quella del demonio, e così custodire la Pace autentica.

“Non siamo e non saremo mai orfani”, perché l’amore con il quale il Signore ci ama si traduce nella sua preghiera costante che ci ottiene, istante dopo istante, il dono del Paraclito: in greco la parola significa ad-vocatus, chiamato-presso. Esso designava l’avvocato, colui che assiste e soccorre nel processo per difendere contro l’accusatore. E Satana significa proprio accusatore

Lo Spirito Santo è chiamato presso di noi, anche oggi, in questo istante, e in ogni secondo della nostra vita, per difenderci, per “ricordarci e annunciarci la Verità”, che siamo figli di Dio nel Figlio Gesù. Di fronte alle accuse di infedeltà, di ipocrisia, di incostanza, di fronte al disprezzo di noi stessi verso cui ci spinge l’accusatore, il Paraclito ci con-sola, ci colma dell’amore del Signore, “compie in noi ogni comandamento, lo custodisce e lo accoglie” sprigionando in noi
l’amore a Cristo. 

Sì, è lo Spirito Santo l’amore con il quale amiamo il Signore, lo stesso amore che unisce il Padre ed il Figlio, e ci fa intimi della loro intimità. Nello Spirito Santo siamo “dimora di Dio”, e la nostra vita, tutta, è trasformata in una cattedrale meravigliosa dove ogni uomo può riconoscere la presenza amorevole e misericordiosa di Dio. 

Perché “nulla è impossibile a Dio”: non lo è stato nella vita della Vergine Maria, non lo è nella Chiesa e nei santi, quelli conosciuti e quelli sconosciuti. Nulla è impossibile a Dio in questa nostra vita concreta di oggi e di domani, quando laviamo i piatti, quando parliamo, quando il portafoglio è vuoto e non sappiamo come andare avanti, quando ci stiamo per unire a nostra moglie e tremiamo nell’aprirci alla vita, quando ci svegliamo e quando ci addormentiamo. 

“Sempre”, perché Dio è in noi, dentro ogni nostra fibra, e lì vi fa possibile l’impossibile, “manifestandosi” così a noi molto concretamente, attirandoci nella vita celeste già qui su questa terra, per vivere nell’amore che supera la carne e ci fa donare senza riserve. 

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Antonello Iapicca

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