Fare rock lungo… la strada del sole

Il cantante dei The Sun racconta la sua conversione nei suoi dischi e in un libro

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È attesa per il prossimo 7 giugno la tappa romana del tour dei The Sun: la singolare rock band italiana sarà in concerto presso la Basilica di San Giuseppe al Trionfale.

Lo ha ricordato Francesco Lorenzi, autore, cantante e chitarrista della band, durante la presentazione del suo libro La strada del sole presso il Teatro Don Guanella a Roma, in occasione del ciclo sugli <em>Incontri d’autore.

Per la prima di queste serate dedicate ai giovani, quella di giovedì scorso, il parroco di San Giuseppe al Trionfale, don Vladimiro Bogoni ha voluto a tutti i costi che i protagonisti fossero proprio i The Sun.

“I giovani sognano ma anche i preti sognano… io volevo arrivare ai giovani più lontani – ha spiegato don Vladimiro -. Nella storia dei The Sun c’è un percorso faticoso all’inizio, ma poi diventa un percorso di resurrezione”.

È proprio questa la storia che viene ripercorsa nel libro autobiografico La strada del sole, edito da Rizzoli e contenente una prefazione del cardinale Gianfranco Ravasi. Un libro sofferto e frutto di un percorso a ritroso in una vita, quella dei componenti della band, fatta di alti apparenti e di bassi profondi, di luci e di ombre riletti in una chiave redenta, illuminata da un sole che ad un certo punto ha fatto irruzione.

“Pur avendo la vita che tutti avrebbero desiderato avere non ero felice. È nel vedere persone che avevano la vita che io non volevo avere, ed erano felici, che io sono entrato in crisi. Attraverso la loro testimonianza ho avuto la grazia di potermi riavvicinare al Vangelo. È scattato un meccanismo che ha rivoluzionato tutta la mia vita, anche quella di tutte le persone più vicine”, racconta Francesco Lorenzi, riassumendo l’esperienza narrata nel suo libro: “Il dono principale che ci è stato fatto all’inizio di questa nostra band è stata l’amicizia, perché nulla è impossibile all’amicizia: se l’amicizia diventa la regina delle nostre esistenze troveremo sempre una strada, perché da soli non possiamo fare nulla”.

Dopo aver pubblicato già diversi dischi in inglese, la band ha avvertito l’esigenza di tornare alla lingua madre; cambiando lingua è cambiata soprattutto la metrica, la composizione letteraria dei brani; è cambiata leggermente la ritmica delle canzoni, ma la sostanza è rimasta la stessa o addirittura si è rafforzata; alcune canzoni suonate dal vivo confrontate con quelle degli esordi, hanno una presenza, un’apertura e una forza ancora maggiore rispetto a quelle precedenti, supportate da messaggi e da esperienze che danno un senso a tutto tondo: nei testi le parole libertà, speranza, solitudine come ricerca sono parole che ora hanno un contenuto.

“Il nostro non è mai stato un rock satanico, è stato sempre ‘solare’, ma lì c’era una ricerca che finiva, non approdava a nessun porto luminoso. Ora la differenza è che c’è una meta, un orizzonte talmente ampio che ci permette di spaziare su tantissimi temi che prima non immaginavamo di poter toccare attraverso la musica”, precisa l’autore del libro.

“In genere intorno a noi si parla di tutto ma non del nostro rapporto con l’infinito qualsiasi esso sia, non necessariamente legato alla figura di Gesù. Si parla di tutto, si parla di violenza, si parla di sangue, ma di quell’argomento lì ci si deve vergognare”, riflette il chitarrista Gianluca Menegozzo mentre ricorda come ad un certo punto anche la sua vita abbia preso una piega inaspettata: “Francesco si è fidato, non ci ha imposto nulla: ci ha solo detto ‘possiamo decidere di continuare questa storia oppure ognuno di noi, in spirito di fraternità, può continuare la sua strada’: quello è stato per me il momento di capire che c’era qualcosa di molto più bello da vivere”.

La musica non ha eliminato le domande e i dubbi, ma questi sono illuminati da una sempre maggiore apertura agli altri, come se l’amicizia non fosse più solo quella di quattro ragazzi ma fosse andata moltiplicandosi: i concerti diventano progetti di solidarietà, come il prossimo, il cui ricavato servirà per strappare alla strada i ragazzi di Kinshasa, la capitale del Congo. “L’empatia, questa forza straordinaria e bellissima che ci è stata data di poterci sentire fratelli, muove una serie di cose all’infinito”, ha spiegato il leader della band, che confida: “Per un paio di anni, quando a messa si diceva il Credo, io saltavo la parte in cui si recitava ‘credo alla Chiesa’. C’era una frattura, una ferita. La testimonianza costante dell’evidenza che Cristo e la Chiesa sono uniti davvero, e che Cristo si serve davvero della Chiesa in ogni sua forma e azione, mi ha rivoluzionato ulteriormente. Il passaggio prima di essere spirituale è stato fisico, concreto: quando mi trovavo in conflitto con l’idea che avevo della Chiesa, mi sono visto elencare in modo molto chiaro ciò che la Chiesa è e fa di buono nel mondo. È impressionante quando si guardano i dati, perché parlano da soli. Attraverso questo fatto inattaccabile la mia convinzione che la Chiesa e Cristo fossero due cose differenti ha cominciato a traballare, ho cominciato a vedere quanto l’amore passa attraverso i consacrati e le comunità. È stupendo, quindi non dobbiamo aver paura di ringraziare e di amare la nostra Chiesa”.

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Maria Gabriella Filippi

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