L’interessantissimo dipinto rappresentante un giovane san Paolo, all’interno di una stanza, tra libri, calamaio e penna poggiati su un piccolo tavolo, fu attribuito già nel 1927 al grande artista Doménicos Theotokópulos, meglio noto con il soprannome di El Greco. Il dipinto si trova nell’eremo di Irata, nella città basca di Cestona, e appartiene alla collezione della Marchesa di Narros.
La composizione, apparentemente semplice, svolge la funzione di esplicitare qualcosa della complessa personalità dell’”apostolo”, infatti oltre ai tradizionali attributi iconografici –libri, spada, tunica e pallio di colore rosso–, e la fisionomia –fissata secondo la descrizione, che ne fa Eusebio di Cesarea tra il III e il IV secolo, di un uomo piccolo con capelli radi e barba nera–, c’è qualcosa di ulteriore nel collocare la figura in uno spazio architettonico, qualcosa che l’artista ha voluto sottolineare e che a prima vista ci sfugge. Potremmo dire che lo sfondo abbia una sua ragione al di là di quella cromatica e compositiva, una ragione, cioè, che vada oltre il puro atto artistico e formale.
Certamente la divisione dei piani architettonici, posti in luce ed in ombra, permette di creare una cornice scura attorno al volto, tale da poterlo evidenziare meglio, come vuole una certa tradizione artistica riconducibile a modelli italiani rinascimentali e manieristi. Ma la scala e la porta si aprono verso un altrove, che porta lo sguardo dal volto di Paolo fin fuori l’uscio, in un altro luogo, che in tutta prima non decifriamo. Osservando meglio il dipinto, notiamo che Paolo poggia la mano sinistra sulla pagina di un libro aperto davanti a sé, e con il pollice sembra indicare il testo. Anzi, si potrebbe dire che il pollice stia ad indicare un punto esatto del testo, che in questo modo è letteralmente sottolineato.
Il libro dipinto è reso verosimile con un metodo tecnico che, con il passare del tempo, diverrà classico nella pittura tardo-manierista e poi seicentesca, cioè per dare l’effetto della pagina stampata, si procede semplicemente nel riprodurre generiche linee orizzontali con una tonalità grigia, al fine di costruire grandi blocchi che, ritoccati in bianco, danno l’effetto della stampa, ma di fatto non contengono alcun carattere tipografico vero e proprio. L’osservatore del dipinto non si accorge della genericità del metodo pittorico, perché questa composizione produce un effetto tale da risultare del tutto verosimile e il libro sembra effettivamente avere un testo. Ma se si osserva questo dipinto con una lente d’ingrandimento, in prossimità del pollice si possono scorgere alcune lettere invece ben marcate che compongono la parola VIA o VIAE, subito seguita da altre lettere un po’ più confuse che possono essere approssimativamente essere lette come MIROS o forse VIROS.
Se quest’ipotesi di lettura è giusta ci troveremmo, come penso, di fronte ad alcune parole del capitolo IX degli Atti degli Apostoli nell’edizione della Vulgata, e precisamente ai versetti 1-2, quindi al passo che recita: «Saulus autem adhuc minarum, et caedis in discipulos Domini, accessit ad principem sacerdotum, et petiit ab eo epistolas in Damascum ad synagogas: ut si quos invenisset huius viae viros, ac mulieres, vinctos perduceret in Ierusalem». («Saulo frattanto sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati» At 9,1-2).
Il punto testuale in cui il dito pollice di Paolo si sofferma corrisponde proprio a “ut si quos invenisset huius viae viros”, cioè letteralmente “al fine di scovare i seguaci di lui”, dove huius si riferisce a Cristo. Il testo descrive, dunque, Saulo mentre parte per Damasco al fine di rintracciare coloro che seguono la via di Cristo per vincerli e condurli a Gerusalemme. Ma nel dipinto san Paolo indica con la mano destra che il luogo nel quale è approdato è in realtà quello in cui è ritratto, e il suo sguardo, carico di emozione, è sottolineato dal gesto del capo leggermente reclinato, quasi in un moto di vergogna. E comprendiamo, allora, che mentre andava a scovare le tracce di coloro che seguivano la via di Cristo, è stato trovato da Cristo stesso sulla sua stessa via, quella cioè che lo conduceva verso Damasco, e che non ha vinto i cristiani, ma egli stesso è stato vinto da Gesù Cristo, che lo ha poi condotto per le strade del mondo a predicare il suo nome.
Capiamo allora che la porta dipinta da El Greco è certamente il passaggio attraverso il quale Paolo è giunto in quel luogo, ma è anche il passaggio dell’anima attraverso il quale Cristo è entrato nel suo cuore. Paolo è, dunque, rappresentato nel suo paradosso esistenziale di persecutore che diviene seguace, dell’uomo che non conosce il Salvatore, e per questo lo perseguita nelle persone che lo seguono, ma che diviene un’altra persona, nell’incontro con colui che lo chiama per nome, tanto da prendere coscienza di sé e di farsi chiamare Paolus “il piccolo”.
Quella porta, allora, risplende ai nostri occhi come il vero soggetto del dipinto, perché rappresenta il nome stesso di Cristo, che è la porta attraverso la quale Saulo è entrato nella Chiesa e ne è divenuto l’apostolo Paolo, per vocazione diretta del Signore, mentre era intento a cercarlo per altre vie.
*
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.