È nel segno del dialogo tra Pietro e Gesù Risorto che oggi pomeriggio si è aperta, presso l’Aula del Sinodo in Vaticano, l’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, caratterizzatasi per una svolta epocale: l’affidamento dell’intervento iniziale al Papa e non al presidente della CEI.
Il cardinale Angelo Bagnasco, in qualità di capo dei vescovi italiani, non ha quindi tenuto la consueta prolusione d’apertura ma soltanto un breve indirizzo di saluto al Santo Padre.
Accennando al discernimento necessario per “valutare ed eventualmente decidere” riguardo agli emendamenti allo Statuto della Conferenza Episcopale, Bagnasco ha espresso “piena disponibilità e pronto impegno” nel seguire le indicazioni del Pontefice.
“Seguimi. È questa la parola con cui si conclude il dialogo tra Gesù e Pietro. Vorrei andarmene con questo messaggio”, ha esordito papa Francesco, auspicando che l’Assemblea Generale “porti frutti secondo la volontà di Dio”.
Stigmatizzando quanto affermato da taluni giornali in merito al suo presunto favoritismo verso determinati vescovi, Francesco ha affermato che “la stampa delle volte inventa tante cose” che i presuli italiani “sono tutti uomini del Papa”.
Il Santo Padre ha poi esortato i vescovi a vivere una fede che sia “memoria viva di un incontro” e a mantenere una “preghiera assidua”, affinché l’incontro con Cristo non perda “freschezza” e non diventi “sterile”, lasciando il posto ad interessi mondani.
Per essere tali i vescovi non devono mai rinnegare la propria adesione alla Chiesa come corpo del Signore. “La povertà di comunione è lo scandalo più grande” ed è una “eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa”, ha detto il Papa.
“Nulla giustifica la divisione – ha proseguito – meglio cedere e rinunciare, disposti a volte a portare su di sé la prova dell’ingiustizia piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio”.
Francesco ha quindi invitando i presuli a “fuggire la tentazione”, a non perdersi in una “gestione personalistica del tempo”, in “chiacchiere che diventano bugie”, a farsi sopraffare dalla “durezza di chi giudica senza coinvolgersi”, dalla “gelosia” e dall’“invidia”. E ha aggiunto: “Quanto è vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso”.
Per un pastore della Chiesa è sempre alto il rischio di “vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana”, di cadere in tentazioni quali la “tiepidezza”, la “mediocrità”, il “quieto vivere” o, al contrario, la “fretta pastorale” che, al pari dell’“accidia”, “sua sorellastra”, porta alla “insofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso”.
Altre tentazioni elencate dal Papa sono “la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo” o ancora “accomodarsi nella tristezza, che mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del mattino di Pasqua”.
I vescovi sono stati esortati anche a dire ognuno “quello che pensa senza vergogna” e ad essere “interiormente liberi” e a “parlare la lingua della gente”.
Di fronte alla “emergenza storica” della disoccupazione, del precariato e della crisi economica, il Papa ha sollecitato a “non cedere a catastrofismo e rassegnazione chi si sente privato del lavoro e, con esso, della dignità” e, al tempo stesso a “non volgere dall’altro lato lo sguardo di fronte agli immigrati che fuggono da guerra e povertà”.
Assieme al lavoro e all’immigrazione, il Pontefice ha menzionato una famiglia che è oggi “fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio”, esortando i vescovi a testimoniarne “la bellezza e la centralità”, promuovendo “la vita del concepito come quella dell’anziano” e a dimostrare “la compassione del samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita”.
Ai vescovi italiani, il Santo Padre ha posto le seguenti domande: “Che immagine ho della Chiesa, della mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringraziarne Dio o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze? Quanto sono disposto a soffrire per essa?”.
Se sul piano pratico ed organizzativo, l’auspicio ha riguardato una maggiore “partecipazione e collegialità”, assieme al “dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme”, sul piano pastorale ed umano, il Papa ha chiesto ai vescovi di stare vicini ai loro sacerdoti, a fare in modo che nel loro cuore “possano sentirsi sempre a casa” e a insegnare ai consacrati, ai religiosi e alle religiose” ad essere “testimoni gioiosi”, in quanto “non si può narrare Gesù in maniera lagnosa; tanto più che, quando si perde l’allegria, si finisce per leggere la realtà, la storia e la stessa propria vita sotto una luce distorta”.
Senza mai disgiungere “verità” e “misericordia”, i vescovi dovranno quindi imparare, “nell’eloquenza dei gesti”, ad essere “semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla” tra sé e gli altri.