Si mobilita il “popolo della Rete” per Meriam Yahia Ibrahim Ishag, donna sudanese di 27 anni, con un figlio di 20 mesi e incinta all’ottavo mese del suo secondogenito, condannata a morte per apostasia. La donna e il marito Daniel professano la religione cristiana, ma secondo il diritto islamico Meriam, in quanto figlia di un musulmano, è colpevole di apostasia (in quanto si è professata cristiana) e di adulterio (in quanto il suo matrimonio non è considerato valido).
Nei giorni scorsi, era stata condannata all’impiccagione e a 100 frustate. Ora sembra che la sentenza sia stata sospesa e si aspetta l’inizio di un nuovo processo, alla fine di giugno. Nel frattempo, però, Meriam è ancora rinchiusa in carcere con il suo bambino di 20 mesi, e non ha la possibilità di assistere suo marito Daniel, costretto su una sedia a rotelle e completamente dipendente da lei.
Il caso di Meriam ha profondamente scosso l’opinione pubblica mondiale, con l’intervento diretto o indiretto di numerose ambasciate occidentali e organizzazioni non governative a difesa della libertà di religione e della vita della donna. In Italia, l’hashtag #meriamdevevivere lanciato dal quotidiano Avvenire ha riscosso un enorme successo.
Chiunque può offrire il suo contributo a favore di questa donna sudanese. Il Centro Italiano Femminile invita le persone a firmare la petizione sul sito di Avvenire, mentre un’altra raccolta firme, promossa da CitizenGO, intende far pressioni sull’ambasciata del Sudan a Roma, per chiedere la liberazione di Meriam e il rispetto della libertà di professare liberamente il proprio credo per tutti, anche per i cristiani.