Francesco, il Papa che ama e che serve

Mons. Lorenzo Leuzzi, Vescovo ausiliare di Roma, affronta nel suo ultimo libro il “realismo storico di Papa Francesco”

Share this Entry

Quanto colpiscono le parole del Papa, e quanto rischio c’è che qualcuno le “maltratti”. In questo periodo in cui si è soliti vedere il parlare del Papa tirato e con tanta forza da una parte o dall’altra per fini personalisti o per scarsa comprensione, è bene farsi mettere nella lunghezza d’onda del suo parlare da chi lo sa intendere davvero. Per questo è utile il libro di mons. Lorenzo Leuzzi Amare e Servire. Il realismo storico di Papa Francesco (Libreria Editrice Vaticana). Già il fatto che mons. Leuzzi voglia insegnare con un linguaggio alto a seguire correttamente il pensiero papale, ci fa capire che il messaggio è diretto a tutti, sia a chi è colpito dall’esterno (“ex extra”), sia chi non comprende bene “ab intra”. E uno tra i vari spunti del libro, è il corretto intendere del termine tanto caro al Papa: “le periferie esistenziali”.

Ci spiega a questo proposito mons Leuzzi, che il primo binomio del pensiero del Papa da comprendere è quello del “conoscere” (la realtà) e dell’”andare” (nelle periferie esistenziali). Purtroppo spesso questi due termini viaggiano separati: si intende il conoscere in maniera intellettuale-sociologica, mentre si intende l’andare in maniera sentimentale-moralistica. Invece “le parole di papa Francesco non intendono proporre né una via sociologica né una soluzione etico-morale; il Papa invece intende affermare il primato della realtà da conoscere. (…) I pregiudizi sono precisamente: l’impossibilità di conoscere la realtà se non in termini puramente sociologici, e collocare la fede cristiana tra le tante forme di fedi religiose”.

Queste forme di visioni astratte vanno in parallelo a veri errori di interpretazione sociale e teologica che mons. Leuzzi riassume in due tipi: la “teologia razionale”, esalta l’uomo “ad un punto tale che non ha bisogno di andare nelle periferie esistenziali, perché presume di esserci”, e la “ragione teologica” che fa delle periferie esistenziali gli unici luoghi della fede cristiana “fino a fare di questi luoghi un mito: senza la periferia non può esistere la fede cristiana”.

In realtà papa Francesco non idealizza le periferie né parla da astratto osservatore; vede che non si può contrapporre un centro e una periferia, e che l’esistenza non è “il centro” che giudica o che soccorre “la periferia”, ma l’esistenza è anche la periferia, non luogo da osservare ma da vivere. Il metodo che indica per fare questo è il realismo. “Non si tratta di andare in un territorio, periferico o centrale che sia, ma di guardare la realtà dalla periferia dell’esistenza”. Insomma, “non è sufficiente essere in periferia per guardare la realtà, ma è necessario che l’esistenza periferica sia accolta come realtà”.

Nulla di astratto, dunque; e nulla di sociologizzante: “Camminare, costruire, confessare significa scoprire di essere nella Chiesa non per fare esperienza religiosa o sociale ma per rispondere alla chiamata del Signore Gesù (…) E la conoscenza della realtà non è un impegno neutro, separato dall’incontro con Cristo, come ricorda l’Enciclica Lumen Fidei”. Infatti, per sradicare la cultura dello scarto “bisogna aprire il cuore e la mente al Vangelo della misericordia, perché il Vangelo non è un’ideologia, ma una realtà”. L’incontro con Cristo è la chiave per un nuovo realismo.

Il libro è dunque anche il richiamo alla corretta interpretazione del termine “periferie”. Dato importante, perché troppo spesso si interpreta questa parola come un livello più basso dove andare per portare qualcosa a chi ha meno o a chi addirittura si pensa essere meno. Invece la periferia deve essere interpretata come luogo dell’essere al pari del “centro”, come luogo di costruzione e non di commiserazione, come luogo di crescita e invenzione. Andare nelle periferie significa ritrovare spesso qualcosa che nei “centri” si è smarrito, che sia una provocazione o un’idea nuova. Questo vale nell’etica come nell’architettura: è il richiamo a vedere quello che distrattamente non si vede, e a costruire con quello che per il mondo è invece da scartare, creando luoghi e opere che proprio perché nati da un materiale inusitato a volte diventano attraenti e affascinanti; l’unica condizione è il realismo: lasciare che il metodo sia dettato non dal nostro pre-giudizio ma dall’oggetto.

Share this Entry

Carlo Bellieni

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l'Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione