Lo ha detto Giovanni Ferretti filosofo e storico della filosofia, docente e direttore del Dipartimento di filosofia e scienze umane dell’Università degli studi di Macerata.
Il prof. Ferretti è intervenuto a Roma, nella mattinata di sabato 17 maggio, alla terza assemblea nazionale da gruppi ecclesiali, riviste, associazioni a 50 anni dal Concilio Vaticano II.
Parlando del Concilio Vaticano II, il professor Ferretti ha ribadito l’invito a leggere “il segno dei tempi” per superare “i legami all’indietro” ed “affrontare con coraggio i nuovi problemi” in particolare “l’ondata della secolarizzazione e l’ondata del post moderno”.
Secondo il professore di filosofia, l’identità o diversità cristiana non va pensata in una dimensione solo “esclusiva” o “inclusiva”, ma soprattutto in forma “comunicativa relazionale”.
Per il prof. Ferretti bisogna proporre una teologia “positiva” del pluralismo religioso, “capace di evitare sia il fondamentalismo che il relativismo”.
A questo proposito ha affermato che ogni progetto di ‘missione’ o di ‘evangelizzazone’ cristiana deve avere coscienza della “volontà salvifica universale di Dio, della persona creata ad immagine di Dio e di Cristo, della competenza ‘religiosa’ di ogni persona, del fatto che Dio è all’opera anche al di fuori della chiesa cattolica o delle chiese cristiane”.
La tesi del professore è che “non possiamo più proporci di fare entrare tutti i credenti delle grandi religioni mondiali – o anche solo gli uomini secolarizzati della nostra Europa – nella ‘unità’ della chiesa cattolica quale istituzione visibile”.
“Ma – ha sottolineato – dobbiamo annunciare Cristo come provocazione a crescere negli elementi positivi delle diverse prospettive di fede – e delle diverse credenze umane laiche – con la fiducia, derivante dalla fede, che con ciò stesso esse camminino verso il mistero della chiesa e di cui ha parlato la Lumen Gentium”.
Ed ancora “dovremo superare ogni residua forma di autosufficienza ed autarchica della fede cristiana, prendendo coscienza che abbiamo molto da imparare dalle altre fedi religiose o non religiose, in vista del nostro stesso penetrare più a fondo nella verità del mistero di Cristo”.
Parlando dell’uomo di oggi, il prof. Ferretti ha spiegato che la post-modernità lo indica come naturalmente finito, effimero, fragile, mortale, declinante nel nulla, senza prospettive di trascendenza, in un contesto di “etiche del finito”.
Nei fatti si tratta di una “ipertrofia della soggettività individuale”, una esagerata “autonomia” e “autorealizzazione”, un “individualismo emotivo e per sua natura libertario”.
Questa nuova soggettività sollecita quindi il cristianesimo ad una “maggiore valorizzazione della vita affettivo-sentimentale come dimensione umana fondamentale”.
Il prof. Ferretti ha concluso sostenendo che è urgente sviluppare compiutamente e divulgare senza remore una teologia della vita” dagli affetti, dei desideri, che riscopra tutta la portata della visione biblica di Dio come “amante della vita” (Sap. 11,26).
“Una vita – ha ribadito – che Egli ha creato e contemplato come fondamentalmente buona, in tutta la sua ricchezza di corporeità, sensibilità, impulso vitale, desiderio, emozioni, sentimenti, bisogno di gioco e di tenerezza…”.