Nella libertà la verità. Lettura francescana della filosofia occidentale (Messaggero, 2014, Padova) di fra Orlando Todisco è un’interpretazione in chiave francescana della filosofia occidentale, feconda in sede universitaria e preziosa negli ambienti di formazione seminariale. Realizzata in dieci capitoli, la ricerca inizia mettendo in luce il primato e la forza innovativa della ragione, propria dell’Occidente (cap. I); prosegue ricostruendo la specifica angolazione di lettura francescana della filosofia, costituita dalla forza creativa della libertà (capp. II-IV), per poi leggere in tale ottica sia la filosofia moderna (capp. V-VII) che la filosofia contemporanea (capp. VIII-X). È un discorso articolato, indubbiamente originale, teoreticamente molto teso, che consente di attraversare l’immensa galleria della filosofia occidentale con una preoccupazione definita, e cioè indicarne il nucleo originario – il primato della razionalità – e problematizzarne l’assolutizzazione.
La grammatica di lettura, che funge da sponda comparativa dell’intero percorso, è costituita dal primato francescano della volontà, rapportata costantemente alla ragione in esercizio, con lo scopo di metterne in luce gli orientamenti teoretici e la loro indole. Questo il pilastro della costruzione. Tutto ciò che è, come tutto ciò che è stato fatto e detto, essendo contingente – e cioè non segnato da una necessità inviolabile, perché poteva non aver luogo o prendere un’altra piega – rinvia alla volontà (o libertà) di colui (o di coloro) che avrebbe potuto non volerlo o volerlo altrimenti. Ma il primato della volontà – si fa notare – non genera forse un atteggiamento conclusivamente arbitrario, secondo cui “voluntas, non veritas, facit legem”?
È l’obiezione principale, in nome della quale si è proceduto alla difesa della ragione e del suo primato, sostenendo che occorra prima esplorare e definire le coordinate di un sentiero e poi percorrerlo, secondo l’insegnamento tradizionale della filosofia. Ebbene, l’originalità del volume in esame sta nel contestare questa linea storiografica, muovendo dalla constatazione che la ragione, di cui la filosofia ha sempre sostenuto il primato, nasce come dominatoria ed è diventata scientifico-tecnica, maschera della volontà di potenza – a buon diritto Heidegger a proposito di questa razionalità ha parlato di “fine della filosofia”. Al tempo di Socrate – rileva Nietzsche ne La nascita della tragedia – “si indovinò nella razionalità la salvatrice; né Socrate né i suoi malati erano liberi di essere razionali, era de rigueur, era il loro ultimo rimedio. Il fanatismo con cui tutto il pensiero greco si getta nella razionalità tradisce una condizione penosa; si era in pericolo, non c’era una scelta; o andare in rovina o essere assurdamente razionali”. L’avventura del pensare occidentale è stata sostanzialmente segnata da siffatta razionalità, lungo un percorso di progressiva assolutizzazione.
Se l’ipotesi della nascita della ragione come cifra del potere di salvezza e dunque come volontà di potenza è teoreticamente plausibile – è la piega ermeneutica del volume in esame – si comprende allora l’orientamento effettivo che la filosofia occidentale ha preso e il capovolgimento storiografico che, alla luce del pensare francescano, l’autore propone, e cioè, considerare fonte totalitaria la ragione, non la volontà, ritorcendo contro i razionalisti l’obiezione che questi per lo più rivolgono a quanti sostengono il primato della volontà (francescani). Questi, infatti, ritengono che la volontà nell’ottica dei maestri della Scuola francescana – Bonaventura, Scoto, Occam – non vada confusa con la volontà di potenza (Nietzsche), bensì con la volontà di libertà (Duns Scoto), la quale, proprio perché tale, non nega la volontà di potenza, altrimenti sarebbe solo un’altra versione di tale volontà, ma procede al suo ridimensionamento.
L’assunto sotterraneo di tale ermeneutica filosofica è che la lettura monodimensionale delle creature come solide figure della costituzione della coscienza razionale, può trovare un argine solo se rifluisce in quella fonte significativa – la libertà creativa divina – cui ha attinto colui che ha voluto ciò che avrebbe potuto non volere o volere altrimenti. Il che comporta l’ardua operazione di coniugare la volontà di potenza, identificata con la ragione filosofico-scientifico-tecnica o, francescanamente, con la ‘ratio inferior’, e la volontà di libertà, identificata con la ragione filosofico-teologica o, francescanamente, con la ‘ratio superior’ (Bonaventura).
L’esecuzione di tale progetto è ritenuto possibile grazie all’ontologia dell’essere come dono o ens volitum (Duns Scoto-Occam), nel cui contesto è legittimo coniugare la volontà di potenza, essenzialmente oggettivante, e la volontà di libertà, custode del soggetto e garante della sua creatività. E’ l’operazione che l’autore mette in atto, con l’obiettivo di fare emergere sullo scenario della convivenza un nuovo valore – il valore-legame o concertazione o fraternità – nucleo qualificante della ‘famiglia francescana’, intesa sia come esperienza spirituale che come scuola di pensiero. L’autore è persuaso che l’Occidente, se vuole recuperare il fascino dell’essere, deve passare dall’antropologia dominatoria e possessiva, di cui la storia si è sostanziata fin qui, all’antropologia creativa di segno oblativo, propriamente francescana, dal momento che la tristezza del vivere non sta, in ultima analisi, nel non avere ciò cui si ha diritto, ma nel non dare – o nel non poter dare – ciò che si vuole e si è in grado di dare.