Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale? A leggere la sentenza della Corte Costituzionale emessa il mese scorso sembrerebbe di sì. Le toghe hanno infatti dichiarato illegittima la norma della legge 40 che vieta il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta.

La sentenza, tuttavia, ha sollevato nuove polemiche intorno a un tema che sin dal 2005, anno del referendum abrogativo sulla legge 40 (che non raggiunse il quorum necessario), interroga la coscienza dei cittadini italiani e produce un appassionato dibattito politico.

Questo pomeriggio, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, una serie di parlamentari del Nuovo Centrodestra e il loro capogruppo al Senato, Maurizio Sacconi, hanno tenuto una conferenza stampa sul tema.

“C’è anzitutto una forte pressione da parte di centri privati di procreazione assistita per raccogliere quanto stabilito dalla Corte Costituzionale senza prima passare dal Parlamento”, avverte la deputata Eugenia Roccella, raggiunta telefonicamente da ZENIT.

“Secondo noi, invece, è necessario che se ne discuta in Parlamento - prosegue - poiché la Corte non ha piena consapevolezza di una serie di criticità che possono produrre enormi problemi e ricadute di tipo sociali”.

Qualche esempio? “In primo luogo il rischio di aprire anche in Italia un ‘mercato dell’umano’, dove si comprano e si vendono ovociti e si affittano uteri”, commenta la Roccella. Intervenire con delle leggi chiare, che prevedano sanzioni, sarebbe un modo per opporsi al “liberismo riproduttivo” e per tutelare quella “tradizione di gratuità, di donazione, di solidarietà” che appartiene al nostro popolo.

Se si volge lo sguardo oltreconfine, d’altronde, lo scenario può apparire talvolta persino bizzarro, un vero e proprio “far west” in cui l’unica legge è quella della domanda e dell’offerta. La Roccella ribadisce una realtà ormai nota, di alcuni Paesi ove alligna l’indigenza, in cui “giovani donne povere affittano i loro uteri” ai ricchi occidentali.

“Si tratta di una forma di sfruttamento: ricordo che delle donne sono morte a seguito della vendita di ovociti”, spiega la deputata. E parla anche degli Stati Uniti, “dove banche degli embrioni danno la possibilità di scegliere mediante un catalogo, secondo le caratteristiche genetiche dei genitori biologici”, attirando così le accuse di ricorso all’eugenetica.

Realtà che appaiono sempre più vicine a noi, stando alla recente cronaca dello scambio di embrioni in seguito a una procedura di fecondazione assistita all’ospedale “Pertini” di Roma. “È evidente che questo incidente deriva dalla mancata osservanza di tutte quelle normative di tracciabilità e sicurezza che io e Sacconi abbiamo emanato quando eravamo al Ministero della Salute”, la considerazione della Roccella. Comunque, pur con tutte le cautele, la parlamentare crede che “aprendo a queste tecniche” gli equivoci ne siano una diretta conseguenza, “perché si toglie la filiazione dal suo ambiente naturale e se ne fa una questione da laboratorio”.

E in un laboratorio, si sa, può accadere di tutto. Anche che venga smentita un’antica certezza, ossia che “di mamma ce n’è una sola”. È proprio questo il nome del comitato che ha messo in piedi la Roccella, insieme all’onorevole Olimpia Tarzia, alla prof.ssa Assuntina Morresi e alla scrittrice Francesca Romana Poleggi.

“La nascita da laboratorio si serve di un vero e proprio ‘puzzle’ di materiale umano, per cui anche la figura materna diventa indefinita”, sostiene Eugenia Roccella riaffermando l’attualità del comitato. Tutte questioni - conclude - di cui “i politici non possono lavarsene le mani, ma al contrario devono aprire un dibattito partendo dell'interesse del bambino”.