“Amen, amen, io vi dico”: fermi tutti, è Dio che parla, con un’autorità che nessun maestro sulla terra ha mai avuto. “In verità, in verità vi dico”, cioè è degno di fede quello che vi dico, è molto importante per ciascuno di voi.
Attenzione allora a come ascoltiamo, ne va della nostra vita. Innanzi tutto è bene collocarci dalla parte giusta. Gesù “disse questa similitudine” ai farisei. A quelli che non avevano accettato d’essere ciechi, e avevano cacciato fuori il cieco nato guarito da Gesù.
Ma oggi parla a noi, farisei come loro, pronti a escludere dalla nostra vita l’opera di Dio, in nome dei nostri criteri, religiosi, culturali e politici che siano. Come loro, anche noi “non capiamo che cosa significhi quello che Gesù ci dice”.
Non è così? Davvero crediamo di aver capito la “similitudine” del pastore e del mercenario? Bene, vediamo allora. E forse scopriremo che, al netto di una comprensione sentimentalistica, non solo non abbiamo capito nulla, ma, una volta capita, ci ritroviamo esattamente come i farisei, incapaci di accettarla.
Innanzitutto appare un “recinto”. In greco il termine non designa un ovile, ma è usato anche per il Tempio di Gerusalemme, o per la Tenda del Convegno usata durante il tempo dell’esodo nel deserto.
Gesù, dunque, parla del Tempio. E il contesto nel quale Gesù oggi ci parla, è quello della festa di Hanukka’h, della Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo Tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane.
I Greci Siriani, promulgarono un decreto che mirava a far “dimenticare la Tua Torà e violare i decreti della Tua volontà” agli Ebrei. I Greci erano dei fans della conoscenza, per questo non importava loro se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Torà. Ciò a cui si oppenevano con violenza era l’idea che la Torà provenisse da Dio – “la Tua Torà”…
Come sempre, la ragione al servizio della superbia e del potere non sopporta che ci sia un Dio al di sopra di lei. Quando non è illuminata dalla fede, la ragione è sempre schiava, e finisce con il trascinare con sé anche il cuore e la carne.
La storia dell’umanità ce lo racconta: tutte le dittature e tutte le ideologie hanno sempre perseguitato ferocemente i popoli ebraico e cristiano, perché solo chi riconosce Dio al di sopra di tutto è libero. Conosce la propria origine, da dove gli viene la vita, e sa discernere in ogni evento la propria missione.
Il Tempio di Gerusalemme si ergeva come un segno e un limite di fronte a tutti i popoli e le culture. C’è un solo Dio, e nessun potere, per quanto illuminato, e nessuna cultura, per quanto sviluppata, potevano paragonarsi a Lui.
Per questa ragione i Greci contaminarono l’olio nel Santo dei Santi, come uno sfregio a Dio, a dimostrare che non aveva potere su di loro. La rivolta ebraica scoppiò quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme.
Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull’adesione all’educazione ebraica. E Hanukkah, significa anche “educare”.
Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel Ttempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono, per ciascuno, un interrogativo: “dove sei?”.
Dove sono le pecore? Dove sei tu? Dove sono io? Chi ci sta educando? Per caso, “da un’altra parte” diversa dalla “porta” sono “entrati i ladri e i briganti” a profanare l’olio dello Spirito Santo con cui ciascuna pecora è stata unta, obbligando ciascuno di noi a un culto idolatrico, a rinnegare la primogenitura per vivere contro la natura di figli che ci è stata donata nel battesimo?
Forse abbiamo dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo. Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di chi ci ha rubato identità e dignità?
Le pecore di cui parla il Signore, infatti, sono quelle molto speciali che si trovavano nel Tempio, nel quale erano allevati gli agnelli per il sacrificio e l’olocausto. Erano agnelli scelti, senza difetto, immagine dei cristiani rinati nelle acque del battesimo, rivestiti di Cristo, l’Agnello di Dio che ha tolto il peccato del mondo.
Vediamo, nella tua vita oggi tu sei un agnello? Di fronte a tua moglie o a tuo marito, ai figli e ai parenti, offri te stesso oppure reagisci, ti ribelli e cerchi di offrirti gli affetti per saziare la tua fame di piacere e tranquillità? Dinanzi alla malattia, all’umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento, quali sono le tue reazioni? Di fronte alle ingiustizie patite sul lavoro o a scuola, lotti e cerchi di farti giustizia, oppure “facendo il bene sopporti la sofferenza”? (1 Pt. 2,20).
Le pecore del “recinto”, infatti, “a questo erano chiamate, poiché anche Cristo patì per loro, lasciando lun esempio, perché ne seguissero le orme” (1 Pt. 2,21). Per questo solo Lui è “il Pastore delle pecore – di quelle pecore – che entra per la porta”, la porta della Croce.
Chiunque, quando si avvicina a noi per parlarci, consigliarci, persuaderci, non entra attraverso la Croce, e’ “ladro e un brigante” come Barabba, ci dice menzogne e sofismi, per ingannarci e farci rinnegare Cristo e la sua Croce. E sappiamo che il nemico della Croce è il demonio.
La cura del “guardiano” era orientata a preparare gli agnelli per il sacrificio. Così è per noi nella Chiesa, che ci nutre e ci ammaestra attraverso i sacramenti e la Parola, perche’ cresca in noi la fede sino a divenire adulta, capace cioe’ di spingerci ad offrire, senza condizioni, la nostra vita sull’altare preparato ogni giorno in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque.
Nel “recinto” cresce e si fortifica la primogenitura degli agnelli di Cristo, allevati all’ombra del Santo dei Santi, illuminati dal suo amore, nutriti della sua misericordia perche’, al tempo opportuno, possano essere offerti uniti a Lui per la salvezza di ogni uomo.
Siamo nati per perdere la vita e amare, come Lui, in Lui, per Lui. Per questo oggi appare Cristo dinanzi a noi, e possiamo riconoscere in Lui la nostra immagine “rubata e distrutta” dai “ladri e dai briganti” che “sono venuti orima di Lui” alla nostra vita.
Solo “ascoltando la sua voce” possiamo scoprire che la nostra vita ha sempre e solo cercato Lui, carne della nostra carne, ossa delle nostra ossa. E così “fuggire via dagli estranei”, da chi ci inganna interpretandoci I fatti e giudicando le persone con una voce che non ci ha mai dato pace. Sono “estranei”, non hanno il nostro sangue, in loro non scorre quello di Cristo; non lo hanno versato per noi, non ci hanno amato…
Egli è Pastore proprio perchè è Agnello, e conosce cioè cosa significhi vivere come un agnello. Per questo ci può educare: ci conosce “uno ad uno”, le debolezze, le nevrosi, i complessi, anche i peccati. Ed è l’unico che sa riconoscere in noi la primogenitura, al di là delle contraddizioni e degli errori.
E’ Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.” (1 Pt. 2,24-26).
E’ Lui che ci attira a “seguire le sue orme” che ci conducono a vivere, ogni giorno, lo stesso mis
tero Pasquale. A “passare” attraverso la “porta” che avevamo sprangato per paura di morire come Lui. Ma è risorto, è vivo, e oggi ci mostra di nuovo le piaghe che ci fanno liberi di “vivere per la giustizia” della Croce.
Gesù ci attende sulla “porta” di ogni giorno, nel matrimonio, al lavoro, a scuola, sul letto d’ospedale e nelle ore angosciate in cerca di un lavoro, nelle ingiustizie e nei soprusi. Gesù ci attende sulla Croce dove ha già ha steso le braccia per accoglierci e farci una sola cosa con Lui.
E’ Lui, infatti, “la porta” sempre aperta verso la “vita in abbondanza”. Sulla Croce Lui è vivo, e per questo “ci spinge fuori dal recinto”. Lui “cammina innanzi a noi” verso il “pascolo” e la “salvezza”. Che cosa ti fa paura? Guarda che proprio quello è il “pascolo” dove puoi sperimentare la vita più forte della morte, e la “salvezza” per te e per i fratelli!.
La vita eterna è “fuori” dal recinto! Non si può vivere sempre dentro, a guardarci narcisisticamente, come ripete Papa Francesco. Nel “recinto” ci prepariamo per salire al sacrificio, perché la nostra vita ha senso solo se è “abbondante”, tanto da offrirla senza misura a chi ne ha bisogno.
Siamo chiamati ad “entrare” nella morte e “uscirne” vittorioso, trascinando con noi questa generazione sino al Cielo.