I nazifascisti intercettarono la lettera di un sacerdote di Padova che gli segnalava il caso di un ebreo da mettere in salvo. Lo presero mentre stava passando documenti falsi a Enrico Donati, un ebreo ricoverato all’ospedale Ramazzini di Carpi. Nonostante le pressioni delle autorità ecclesiastiche, l’11 marzo 1944, Focherini venne arrestato e imprigionato. Il 5 settembre venne spedito al campo di sterminio Hersbruck, dove, il 27 dicembre, morì per setticemia nell’infermeria del campo, assistito solo dal compagno di sventura Teresio Olivelli.
Insignito della medaglia di Giusto fra le nazioni dallo Stato d’Israele e della medaglia d’oro al merito civile dalla Repubblica italiana è stato beatificato il 15 giugno 2013. La sua vicenda ha toccato il cuore e commosso migliaia di persone. Perché il suo è un esempio luminoso di come anche nel buio più pesto, l’umanità e la fede cristiana vincono sul male.
In un momento in cui sembrava che la barbarie fosse invincibile, Focherini mostrò infatti che nulla può sconfiggere la dignità umana e l’eroismo della fede in Cristo. Quando il cognato Bruno Marchesi lo visitò nel carcere di San Giovanni in Monte gli disse che stava rischiando troppo per salvare degli sconosciuti; ma Focherini rispose: “Se tu vedessi come trattano gli ebrei, ti pentiresti solo di non averne potuti salvare di più”.
Per far conoscere e mantenere la memoria di un uomo dal forte coraggio e dai grandi ideali, gli autori Ulderico Parente, Maria Peri e Odoardo Semellini hanno dato alle stampe il volume “Lettere dalla prigionia e dai campi di concentramento di Odoardo Focherini ” (Edizioni Dehoniane Bologna – EDB). Il volume raccoglie 166 lettere e biglietti – per la maggior parte clandestini – che Focherini ha fatto pervenire alla famiglia.
Le lettere, scritte nei carceri di Bologna, Fossoli, Bolzano ed Hersbruck, sono la testimonianza più eloquente e commovente di una fede profonda che non si rassegna di fronte alla sofferenza e alle persecuzioni. Ha scritto Giacomo Lampronti, collega e amico di Focherini nel libro “Mio fratello Odoardo”, che i campi di sterminio nazisti erano luoghi di “lontananza fatta d’odio umano, di volontà di distruzione”.
“E a quell’odio – precisa Lampronti – i prigionieri che ne sono vittime oppongono l’Amore, Speranza, la Fede”. “Quello che più imbestia i persecutori – ha aggiunto – è la mitezza delle vittime, la loro rassegnazione che non autorizza la reazione violenta delle percosse. Di che sono fatti questi cristiani? Vinti, avviliti, annichiliti, sono ancora vittoriosi, e lo saranno fino alla fine”. Ed ancora: “Impossibile strappare a loro un lamento, una imprecazione, un insulto. Spesso le loro labbra esangui si muovono impercettibilmente in preghiera. E pregano anche per i persecutori, benedicendo il Signore che li ha prescelti ad ‘ostie’ di intercessione per la pace nel mondo”.
Sulla morte atroce di Focherini, solo, senza affetti né un prete, nel freddo sudiciume dell’infermeria di un campo di sterminio, Lampronti ha scritto: “Così come visse, Odoardo seppe morire. (…) E antepose la Croce che Gesù gli indicava come il più luminoso degli ideali. E quella croce portò fino al calvario, sereno nella sofferenza, fortificando con l’esempio gli spiriti più deboli, edificando quanti partecipavano alla croce da lui volontariamente accettata”.
Si legge nel decreto che riconosce il martirio di Focherini: “Allo zelo per la causa della verità e della diffusione del regno di Cristo mediante la stampa, questo uomo veramente giusto unì un eroico spirito di carità per il prossimo”.
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