Per la durata di 3 anni, Viktor Emil Frankl sopravisse a quattro lager (Theresienstadt, Auschwitz, Kaufering III e Türkheim). Parlando della sua esperienza «all’ombra di una camera a gas» dove era ridotto a un numero di matricola (119.104), Frankl, testimonia la fondatezza esistenziale della sua caparbia fede in un senso della vita – una convinzione già maturata nell’età giovanile quando iniziò a pubblicare i suoi articoli dedicati ai problemi esistenziali sul quotidiano viennese Der Tag.
Viktor Emil Frankl è un eloquente e imperterrito testimone della forza di reazione dello spirito; una forza che permette all’uomo di affrontare con coraggio e dignità le situazioni incerte e spesso traumatiche in cui si snoda la sua esistenza. La forza di resistenza dello spirito rende indirettamente testimonianza alla dimensione spirituale nell’uomo, e così la vita di Frankl diventa una convalida concreta della sua teoresi.
In una conferenza del 1980 tenuta a Vienna, Frankl sviluppa il tema di «La forza di resistenza dello spirito». Tale forza di resistenza è una fondamentale facoltà umana e consiste nell’opporsi anche alle più avverse condizioni e circostanze, interne o esterne, mostrando che l’atteggiamento dell’uomo è fondamentalmente più forte di tutto ciò che lo condiziona. «La resistenza dello spirito presuppone che un uomo possa prendere le distanze dal mondo e da se stesso e che questo autodistanziamento presuppone a sua volta la capacità di oggettivare il mondo e se stessi». Sia l’autodistanziamento, sia l’autotrascendenza sono indizi della spiritualità dell’uomo, della sua realtà che supera gli angusti limiti del visibile e del razionalizzabile.
Nella sua opera autobiografica – Uno psicologo nel Lager – che racconta e analizza l’esperienza nei campi di concentramento, Frankl cerca di mostrare la capacità umana di riunire i fragili fili d’una vita spezzata in un concreto modello di significato e responsabilità . In quest’opera Frankl testimonia che «all’uomo nel Lager si può prendere tutto, eccetto una cosa sola: l’ultima libertà umana di affrontare spiritualmente, in un modo o nell’altro, la situazione imposta».
Alla domanda se l’uomo è veramente solo il risultato casuale della sua costituzione corporea, della sua inclinazione caratteriale e della sua posizione sociale, Frankl risponde non in linea di principio, ma basandosi sulla propria esperienza. A partire dal proprio vissuto, egli giunge ad affermare che l’uomo può essere libero interiormente, nel santuario del proprio essere, nonostante tutte le costrizioni esteriori ed interiori:
«In base alla nostra esperienza, proprio la vita nel Lager ci ha mostrato che l’uomo è veramente in grado “di comportarsi diversamente”. Potre-mo riferire molti esempi, spesso eroici, che hanno provato come, in certi casi, si possa soffocare quell’apatia e quella irritabilità; come dunque sopravvive un resto di libertà spirituale, di libero atteggiamento dell’io verso il mondo, anche di quello stato, solo apparenza di assoluta coazione, tanto esterna quanto interna».
A partire dalla situazione di prigionia Frankl verifica la sostenibilità della realizzazione delle tre categorie di valore. In prigione, l’uomo si trova nella dipendenza da condizioni che si impongono e circostanze che lo sovrastano. Tali dipendenza e condizionamento si applicano al suo agire e al suo sperimentare, ma lo lasciano libero di prendere un atteggiamento «nei confronti di» questa situazione di estrema dipendenza.
Scrive Frankl: «L’uomo, nella realizzazione dei valori di creazione e di esperienza resta dipendente, mentre è libero nella realizzazione dei valori di atteggia-mento, libero “da” ogni condizionamento e da ogni influsso ambientale, libero “per” dominare interiormente il destino, libero “per” una sofferenza autentica. Una tale libertà non conosce condizionamenti, è libertà “in ogni caso” e fino all’ultimo respiro».
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Il testo è un estratto del libro Itinerarium cordis in Deum, scritto in dialogo con Viktor Emil Frankl, Maurice Blondel e il beato John Henry Newman. Il libro è disponibile su Amazon