Un volto scavato dalla sofferenza. Occhi sereni. Un sorriso rassicurante. È questa l’immagine che resterà di Claudio Abbado. Insieme alle sue braccia librate in aria, a disegnare un pentagramma tra la terra e il cielo, con la bacchetta da direttore d’orchestra che ha portato nel mondo la tradizione musicale italiana.
Cala ora il sipario sulle sue 80 primavere, sulla sua vita fatta di musica, fin da quando, ragazzino, sui muri della casa milanese scriveva “Viva Bartok”, in barba alla Gestapo che pensava si trattasse di un sovversivo o di un partigiano, anziché di un grande compositore. O quando Toscanini gli predisse, a 18 anni, che avrebbe avuto un grande successo, o quando fu definito “successore” dell’arte di Wilhelm Furtwängler dalla vedova del grande maestro tedesco, ed effettivamente così fu, subentrando a Herbert von Karajan sul podio dei Berliner Philarmoniker, l’orchestra più blasonata del mondo.
Nella musica, il Maestro non ha cercato solo la bellezza e la perfezione, ma ne ha estrinsecato valori ed emozioni, trasmettendoli alle più celebri e qualificate platee internazionali e, soprattutto, ai giovani. Proprio a loro Claudio Abbado si è dedicato con particolare cura, senza lo snobismo tipico di molte altre bacchette, e ha fondato varie orchestre giovanili, conquistato dal modello di El Sistema venezuelano che gli ha «riconfermato che la musica salva davvero i ragazzi dalla criminalità, dalla prostituzione e dalla droga: facendo musica insieme trovano se stessi».
Non è un caso che il suo onorario di Senatore a vita – aveva ricevuto la nomina dal Presidente della Repubblica poco più di quattro mesi fa – lo aveva devoluto alla Scuola di Musica di Fiesole per la creazione di borse di studio. La European Community Youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Gustav Mahler Jugendorchester, la Mahler Chamber Orchestra, fino alle più recenti Orchestra del Festivaldi Lucerna e Orchestra Mozart di Bologna, sembrano plasmate della classe, della leggerezza, della raffinatezza musicale del loro Maestro, che le hanno rese inconfondibili interpreti del suo repertorio.
Già, perché soprattutto negli ultimi anni, Abbado amava lavorare con le sue orchestre, delle quali aveva scelto ogni singolo musicista. Perché le partiture, gli strumenti, gli esecutori, erano tutt’uno col Direttore, con la sua idea della musica, con il suo modo di fare musica. E’ questo che ha reso Claudio Abbado un intelligente innovatore, fin dal suo esordio alla Scala nel 1960, passando per Vienna e Berlino: un’idea intima, cameristica, di tutta la musica. Ma che diventa anche un’idea etica, quasi missionaria, e che lo portò a creare a Milano, nel 1972, i Concerti per studenti e lavoratori, nati con l’obiettivo di avvicinare alla vita e all’attività scaligera le classi sociali meno abbienti.
Da oggi non potremo più ascoltare, dal vivo, il suo Malher, il suo Brahms, il suo Beethoven, il suo Mozart, il suo Verdi. Non lo vedremo più inchinarsi sul palcoscenico per ringraziare, con discrezione, il pubblico. La sua famiglia, annunciandone la morte, ha scritto. «Claudio è con noi. È partito per il viaggio misterioso. Stringiamoci alla sua vita fortunata».
E noi gli dedichiamo il nostro ultimo, interminabile, riconoscente applauso.