Uno scrittore indiano ci offre il racconto di una bambola di sale che non si accontentava di sentir parlare del mare. Chiese agli amici di poterlo conoscere.
La portarono sulla duna più alta, da cui si poteva vedere il mare. Rimase affascinata dai suoi colori, dal suo profumo, dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia e spumeggiavano sugli scogli.
Ma presto fu presa dalla brama di vederlo più da vicino. Gli amici la portarono sulla riva dove già le onde cominciavano a lambirle i piedi. Ella si accorse che i piedi le sparivano.
Allora disse, rivolgendosi al mare: “Sei bello, ma sei cattivo!”
“Perché dici così?” ‑ rispose il mare ‑ “non sai che in un rapporto d’amore si deve esser sempre disposti a perdere qualcosa di sé?” Convinta dalla risposta, la bambola di sale cominciò ad avanzare sempre più nel mare e, man mano che avanzava, il suo corpo scompariva.
Quando già l’onda le lambiva il viso, prima che anche la bocca svanisse, rispose: “Ah! adesso ho capito: io sono il mare!”
Conoscenza piena del mare e piena trasformazione in lui sono contemporanee per la bambola di sale: essa possiede il mare nel momento in cui avverte di esserne posseduta.
Conoscere il mare era il sogno della bambola di sale, ma non meno ardente era il sogno del mare di trasformare la bambola in sé.
Dio si tuffa nell’uomo per trasformare l’uomo in sé.
Ciao da p. Andrea
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