Sant’Antonio Abate fu il padre degli eremiti che dalla metà del III secolo si ritirarono nel deserto per fuggire il mondo. Fu il “fondatore dell’ascetismo”, come lo chiamò il patriarca di Alessandria, Sant’Atanasio, che lo conobbe e ne rimase affascinato. A lui è attribuita l’opera agiografica Vita Antonii, dalla quale si sa che Antonio nacque in Egitto a Coma, l’odierna Qumans, intorno al 251 da una famiglia di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano intorno ai vent’anni, sentì il richiamo a seguire l’esortazione evangelica “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri” (Mt 19, 21).
Così fece, vivendo di preghiera solitaria nella povertà e castità. Dopo alcune peregrinazioni si ritirò nella zona del Mar Rosso in un deserto inospitale dov’erano una fortezza romana abbandonata e una fonte d’acqua. Restò nel deserto per più di ottant’anni. La leggenda lo dipinge come l’eroe della lotta contro il male perché combatté molte tentazioni, che sconfisse uscendone sempre vincitore. Riporta la tradizione che un gruppo di seguaci abbatté le mura del fortino per liberarlo dal suo rifugio e stare con lui.
Da grande taumaturgo qual era, si dedicò alla guarigione dei sofferenti, mentre in grotte e anfratti fiorirono le esperienze dei Padri del deserto che lo ebbero come guida spirituale. Morì ultracentenario il 17 gennaio 356, data in cui la Chiesa lo commemora. Quest’uomo diede un grande contributo alla diffusione degli ideali di vita monastica ed è stato uno dei santi più conosciuti del Medioevo e più narrati nelle leggende. La mitologia spesso avvolge di un’aura misteriosa la storia di figure tanto carismatiche, così che nel corso dei secoli diviene sempre più difficile scindere l’aspetto puramente sacro da quello profano. Ciò è particolarmente vero per Sant’Antonio Abate, detto Antonio il Grande o il Santo del fuoco, che viene ricordato con modalità diverse a seconda delle tradizioni locali del territorio.
Ad esempio nel Salento c’è un paese, Novoli, in provincia di Lecce, dove la festa patronale di Sant’Antonio Abate è uno degli appuntamenti invernali imperdibili per devoti e turisti. Con molta probabilità il monaco egiziano era venerato dai novolesi sin dall’epoca bizantina. I riti religiosi della festa si mescolano al folklore con iniziative che iniziano il 7 dicembre e terminano il 18 gennaio. Tra luminarie e sagre, tra degustazioni enogastronomiche e concerti di musica popolare, le celebrazioni raggiungono il culmine alla vigilia, il 16 gennaio. Nel pomeriggio ha luogo la tradizionale benedizione degli animali, di cui il monaco è protettore. In seguito per le vie del paese si svolge una solenne processione con la statua del santo, mentre in serata è un antico rito pagano a dare il via ufficiale alla festa con l’accensione del fuoco della focara, preventivamente benedetta in mattinata.
La focara è un monumentale falò realizzato con fascine di tralci di vite accatastate sapientemente in modo da formare una pira di circa venti metri di diametro per venticinque di altezza. È un’opera ingente che richiede oltre un mese di preparazione e l’intervento di una catena umana di decine di volontari che costruiscono una struttura simmetrica, condizione indispensabile perché la focara resista al proprio peso e alle intemperie. Lo spettacolo pirotecnico richiama molti visitatori, si parla di oltre cinquantamila persone che assistono all’accensione di questo grande cero che viene lasciato ardere per tutta la notte fino al giorno seguente.