La Dottrina sociale della Chiesa del post Concilio Vaticano II (Prima parte)

Il passaggio dalla società moderna alla società postmoderna

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L’espressione “Dottrina sociale della Chiesa” risale a Pio XI (1) e designa il “corpus” dottrinale riguardante l’evangelizzazione della dimensione sociale che, a partire dalla enciclica Rerum novarum (2) di Leone XIII, si è sviluppata nella Chiesa attraverso il Magistero dei Papi e dei vescovi in comunione tra loro.

Più precisamente, come scrive il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa: “La dottrina sociale è della Chiesa perché la Chiesa è il soggetto che la elabora, la diffonde e la insegna. Essa non è prerogativa di una componente del corpo ecclesiale, ma della comunità intera: è espressione del modo in cui la Chiesa comprende la società e si pone nei confronti delle sue strutture e dei suoi mutamenti. Tutta la comunità ecclesiale – sacerdoti, religiosi e laici – concorre a costruire la dottrina sociale, secondo la diversità di compiti, carismi e ministeri al suo interno”. (3).

Attenzione, però: l’amore, la sollecitudine sociale, l’evangelizzazione del sociale “non ha avuto certamente inizio con tale documento, perché la Chiesa non si è mai disinteressata della società; nondimeno, l’enciclica Rerum novarum dà l’avvio ad un nuovo cammino: innestandosi su una tradizione plurisecolare, essa segna un nuovo inizio e un sostanziale sviluppo dell’insegnamento in campo sociale” (4).

Con la suddetta enciclica, si è dato dunque il via al dialogo con la società moderna, nel pieno dell’industrializzazione. Dialogo che nel corso dei decenni si è andato a sviluppare fino al grande vertice raggiunto con il Concilio Vaticano II. “La dottrina sociale si presenta come un cantiere sempre aperto, in cui la verità perenne penetra e permea la novità contingente, tracciando vie di giustizia e di pace”, recita il documento. “La fede – prosegue – non presume d’imprigionare in uno schema chiuso la mutevole realtà socio-politica. È vero piuttosto il contrario: la fede è fermento di novità e creatività. L’insegnamento che da essa prende continuamente avvio “si sviluppa attraverso una riflessione a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l’impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento” (5).

Il Vaticano II s’incarna storicamente all’alba del passaggio dalla società moderna alla società postmoderna, caratterizzata dall’affermazione della cultura tecno-nichilista (6). In questo clima culturale, il Magistero sociale si contaddistingue per una maggiore attenzione oltre che alla dimensione teologica, anche alla dimensione antropologica spirituale. Ciò non ha significato una negazione delle riflessioni dottrinali precedenti, tutt’altro; difatti la DSC pian piano è stata posta nel cuore della Chiesa, che si è fatta più attenta ai “segni dei tempi” e all’azione performante dello Spirito nella storia dell’uomo.

Si è molto discusso tra i teologi sui motivi del mancato utilizzo della locuzione “Dottrina sociale della Chiesa” nei documenti conciliari. Questo silenzio sicuramente non va ricercato nel fatto che il Concilio abbia avuto delle riserve verso di essa. Anzi, il Concilio ne avvertiva l’importanza, ma, da una parte, non voleva essere strumentalizzato dalle guerre ideologiche del tempo; dall’altra, avvertiva forte il cambiamento del clima culturale che richiedeva un approccio nuovo, più esplicitamente diretto alla evangelizzazione, ponendo al centro le caratteristiche teologiche, bibliche, antropologiche, economiche, sociali, più che quelle filosofiche.

Una lettura non letterale dei documenti del Vaticano II mettono in evidenza l’enorme contributo fornito allo sviluppo della DSC. Grande pietra angolare, nel suo sviluppo è stata la costituzione pastorale Gaudium et spes, in cui viene confermato e aggiornato l’insegnamento sociale precedente accogliendo riflessioni più ampie, che meglio definiscono i rapporti tra Chiesa e un mondo.

In nove capitoli si affrontano i seguenti problemi: la dignità della persona umana, la comunità degli uomini, l’attività umana nell’universo, la missione della Chiesa in un mondo in veloce cambiamento, la dignità del matrimonio e della famiglia, la promozione del progresso della cultura, la vita economico-sociale, la vita della comunità politica, la promozione della pace e della comunità dei popoli.

In modo indiretto, poi, la grande assise conciliare ha contribuito a rinnovare e allargare il dialogo della Chiesa con il mondo moderno che veniva sostituito dal postmoderno, affrontando problematiche come l’ecumenismo e i rapporti con le religioni non cristiane, la libertà di coscienza, l’evangelizzazione missionaria, il ruolo dei laici e il loro specifico ministero per la animazione cristiana delle realtà temporali.

Altro grande merito del Concilio è stato l’aver concluso ‘l’esodo’ della Sacra Scrittura. La riscoperta operata della centralità della Scrittura e del suo posto fondante nella Chiesa, in quanto capace di trasmettere la Parola di Dio in essa contenuta, è stata espressa in maniera straordinaria nella Dei Verbum, la costituzione sulla Rivelazione.

Essa attribuisce alla Scrittura il ruolo unificante dei quattro ambiti che costituiscono la vita della Chiesa: liturgia, predicazione, teologia e vita di fede. Nella liturgia, afferma la costituzione, le Scritture “fanno risuonare … la voce dello Spirito santo” e, per mezzo di esse, “Dio viene … incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro” (DV 21). La predicazione “deve essere nutrita e regolata dalla Santa Scrittura” (DV 21); mentre la teologia deve basarsi “sulla Parola di Dio come fondamento perenne” e lo studio della Scrittura deve essere “come l’anima della teologia” (DV 24). Infine, la vita quotidiana dei fedeli deve essere segnata dalla frequentazione assidua e orante della Scrittura (DV 25).

Riscoprendo la Parola di Dio e facendola risuonare in modo profondamente rinnovato, attraverso la liturgia, la predicazione, la catechesi e la riflessione teologica, la Dei Verbum ha mostrato la capacità di promuovere un concreto rinnovamento evangelico nella vita personale e comunitaria dei cattolici e quindi nello sviluppo della Dottrina Sociale della Chiesa.

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NOTE 

(1) Cfr. Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 179; Pio XII, nel Radiomessaggio per il 50º anniversario della « Rerum novarum »: AAS 33 (1941) 197, parla di « dottrina sociale cattolica », e nell’Esort. ap. Menti nostrae, del 23 settembre 1950: AAS 42 (1950) 657, di « dottrina sociale della Chiesa ». Giovanni XXIII conserva le espressioni « dottrina sociale della Chiesa » (Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 453; Lett. enc. Pacem in terris: AAS 55 [1963] 300-301) o ancora « dottrina sociale cristiana » (Lett. enc.Mater et magistra: AAS 53 [1961] 453), o « dottrina sociale cattolica » (Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 [1961] 454).

(2) Cfr. Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII, 11 (1892) 97- 144.

(3) Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 79, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

(4) Ibidem n.87

(5) Ibidem n.86

(6) http://www.cyberteologia.it/2012/05/il-fallimento-del-neo-materialismo-e-lo-sviluppo-spirituale/ blog padre Antonio Spadaro S.I.

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Carmine Tabarro

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