Catastrofe

Imparare a non pretendere nulla dai castelli di sabbia, ma fondare la vita unicamente sulla roccia del vangelo

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Lungo la spiaggia del mare, attira la mia attenzione la scena di bambini alle prese con la sabbia e l’acqua, palette e secchielli… sul bagnasciuga.

Mi soffermo a discreta distanza e seguo con particolare attenzione le manovre di uno di questi attori, divenuti professori loro malgrado.

Mi attira non tanto il suo castello di sabbia già arrivato a buon punto, ma la meraviglia stampata nei suoi occhi per il capolavoro che sta nascendo e la delicatezza delle sue manine che non finiscono di attingere sabbia e acqua da far scivolare dalla cima del castello.

Ormai sembra volersi girare per gridare: “Mamma, guarda…!!”. Ma proprio in quel momento un’onda “inaspettata” passa sopra il tutto e tutto fa sparire.

Ciò che ne è seguito per me è stata la plastica definizione di catastrofe: “Due occhi serrati – è scomparso il mondo – e, sotto lacrimoni più grandi dell’onda, una bocca spalancata in un pianto disperato; una manina indignata, con cui il piccolo inconsolabile, sordo ad ogni parola di incoraggiamento, rifiuta e respinge perfino la mamma che lui reputa corresponsabile di quella tragedia e ne resta “sordo” ad ogni parola di incoraggiamento.

Prendendolo in braccio, lei esprime un augurio: “più tardi, il mio piccolo, grazie a questa “catastrofe”, imparerà a non pretendere nulla dai castelli di sabbia, né a farsi alcuna illusione sull’opera delle sue mani…per poter fondare la sua vita unicamente sulla roccia del vangelo”.

Ciao da p. Andrea

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Andrea Panont

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