“…poi, c’è il silenzio/ che chiede solo di essere ascoltato” (Romano Penna). Chiede solo di essere ascoltata, la bella raccolta poetica intitolata San Bruno, da Colonia alla Certosa, scritta da Rosina Andreacchi. E siamo grati alla nostra poetessa per questo dono: un itinerario spirituale che porta alla scoperta del silenzio. E dell’anelito a quella pace che ben si trova sintetizzata nel motto dell’ordine certosino: “La croce resta fissa, mentre il mondo ruota”.
I certosini di grande spiritualità pervasisono “solitari riuniti come fratelli” e scopo della vita certosina è la contemplazione: rimanere il più possibile, in forza dello Spirito, ininterrottamente, nella luce dell’amore di Dio.
Ma il “rimanere” è possibile solo in quel silenzio di cui tutta la poesia di Rosina Andreacchi riconosce l’essenzialità: solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non solo della Parola, ma anche della presenza di Colui che parla.
È quel che accade nella Certosa, “nel silenzio immobile del tempo che passa in fretta / e spazza via ogni cosa futile e caduca… / pulsa di vita, di prece e di silenzio,/ l’antica Certosa che / a Serra di San Bruno ha dato il nome…”.
Purtroppo oggi il silenzio è raro, ed è la cosa che più manca all’uomo moderno assordato dai rumori, bombardato dai messaggi sonori e visivi, derubato della sua interiorità. Anche la vita spirituale risente di tale carenza: le liturgie spesso sono appesantite da commenti inutili che dimenticano che c’è un indicibile, un silenzio, un mistero. La crescente domanda di autentica vita spirituale resta poi troppo spesso disattesa da chiese locali impegnate piuttosto in molteplici attività assistenziali, sociali, ricreative. Non stupisce pertanto l’indirizzarsi di molti verso vie di spiritualità estranee al cristianesimo.Ma ecco la voce della nostra poetessa, che indica “la rotta già segnata da San Bruno… / un viaggio offre / di silenzio e di pace… / la fiaccola porge per vederci chiaro… / Chi con fede si avvicina / e al Santo confida travagli pene e smarrimenti, / avverte intimi soffi di speranza e pace”.
Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio! Il silenzio della preghiera di adorazione della presenza di Dio, il silenzio caro ai mistici di ogni tradizione religiosa, e ancor prima il silenzio essenziale a ogni atto comunicativo. Perché abbiamo bisogno di imparare nuovamente a parlare, ma a parlare nel senso di dire parole che vengano dal silenzio e che dimorino nel silenzio dell’ascolto dell’altro, che evoca, che abita, che attira, che trasforma. Questo, ci sussurano queste belle poesie, accade a Serra San Bruno, dove “il gran deserto che tra Stilo e Arena / pur si stende e si ammanta / d’alberi silvestri di faggi e abeti, / in lungo e in largo da sorgenti pure e / corsi d’acqua cristallina è attraversato… / qui l’anima si cheta nella solitudine e nel silenzio di Dio, / e intreccia lo spirito rapito / contatti di pace con il mondo”.
E lo stesso Dio biblico sin dall’inizio ci viene presentato “Dio nel silenzio”: c’è anzitutto la silenziosa scrittura dei cieli: dice il Salmo 19: «I cieli narrano la gloria di Dio»… Dunque, non c’è bisogno di parole. È ciò che esiste, è questa natura, è questa terra, è questo cielo, che ci parlano, tacendo, del loro Creatore. E, nel deserto divino della Certosa, l’uomo nasce in Dio e Dio nasce nell’uomo, laddove “la solitudine è inviolata, / dove non entra il fragoroso ritmo del mondo, / dove regna il vero senso delle cose, / una degna risposta vi si trova / che spiega l’ineffabile mistero…”.
Così nella storia biblica di Elia (1Re 19): «Ecco il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto di fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco». Dunque il Signore non è in nessuno dei segni di potenza, né nel fuoco, né nel vento, né nel terremoto. Dove abita Dio? «Dopo il fuoco ci fu un mormorio di vento leggero». La tradizione letterale è “la voce del silenzio”. Elia conosce Dio nella voce del silenzio, anzi nel tenue silenzio. Come Gesù che, quanto più si inoltra nella passione, tace sempre più, entra nel silenzio, come agnello afono, come colui che, conoscendo la verità, sapendo l’indicibile fondo della realtà, non può né vuole tradire l’ineffabile con la parola, ma lo custodisce con il silenzio . E che altro è il Cristo crocifisso se non l’icona del silenzio, e del silenzio stesso di Dio? Il silenzio della croce è il magistero a cui mai potrà smettere di attingere ogni parola teologica. Ecco perché il succitato motto certosino ci presenta la Croce e “sprigiona quel carisma che morir mai non può, / perché è amore”.
Morir non può. Rimane: “Rimanete nel mio amore”, dice Cristo. Questo “rimanete” ha un’importanza radicale, che va ben al di là di una pia esortazione. Chi ne prende coscienza chiude il cerchio della sua ricerca e non ha più bisogno di interrogarsi su dove sia Dio, e su come trovare il suo contatto vitale. “Tu in me, io in te”: il vero aspetto metafisico del rapporto Dio-uomo che questa raccolta ci propone, quella “solitudine perfetta che a Dio l’animo soggioghi / e lo renda degno del divino asilo”.
Avvertiamo la voce di questa solitudine in tutte queste poesie, ne sentiamo nell’ anima il canto inesausto d’amore: ed è quel che accade, dopo lo “spaziamento”, ai certosini che rientrano al monastero “ricreati dal soffio divin / che la natura promana”.
Dio parla con le cose che sono, con la logica che regge la realtà…non ci dice con la sua bocca che Lui è bellezza: nel silenzio, ce lo fa vedere con un bel tramonto…non ci dice con la bocca che è eterno: nel silenzio, ci dà la sorpresa ogni mattina di rivedere l’aurora… Non ci dice che è vita e fecondità: nel silenzio, ci dà un campo di grano maturo. È quel “rimanere”, è quel “io in te, tu in me” , che San Bruno ha saputo incarnare, e che Rosina Andreacchio oggi ci ricorda, come amore “…materno e paterno insieme…, / …divina presenza… / …silenzio divino che riempie il cuore”.