L'umanesimo antipersonalista (Terza parte)

L’antipersonalismo nel pensiero contemporaneo. Lo scientismo

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Nella filosofia contemporanea si sono sviluppate due correnti di pensiero che hanno delineato due differenti paradigmi antropologici, uno di tipo esistenzialistico e l’altro di carattere scientifico e la cui genesi è individuabile nella riflessione condotta da Kierkegaard sulla concreta realtà esistenziale e nell’analisi scientifica della natura umana compiuta da Comte.

Kierkegaard, come vedremo, contesterà a Hegel l’astrattezza del suo sistema idealistico, nel quale non c’è posto per la vita concreta del singolo. Una critica alla filosofia hegeliana è rivolta anche da Comte, ma da un punto di vista scientifico, infatti questo filosofo progetta una inedita immagine dell’uomo, derivante  dai risultati delle scienze empiriche, in particolare della psicologia, della biologia e della sociologia.

Secondo Comte il periodo storico in cui vive, il XIX secolo, è un’ ”epoca critica”[1] perché l’affermazione delle scienze della natura (fisica, chimica, biologia, ecc.) e del loro metodo sperimentale entra in collisione con una mentalità metafisica ancora diffusa nella cultura, che ostacola il progresso dell’umanità.

La filosofia della scienza di Comte è denominata Positivismo, intendendo per “positivo”  la realtà (i fenomeni) studiata dalla scienza e l’utilità che questo studio rappresenta per migliorare le condizioni di vita sociale.

Scrive in proposito:

“Considerata nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa il reale, in opposizione al chimerico: da questo punto di vista, essa conviene pienamente al nuovo spirito filosofico, così caratterizzato dalla sua costante consacrazione alle ricerche veramente accessibili alla nostra inteligenza, con l’esclusione permanente degli impenetrabili misteri di cui si occupava soprattutto la sua infanzia. In un secondo senso, molto vicino al precedente, ma tuttavia distinto, questo termine fondamentale indica il contrasto dell’utile con l’inutile: allora ricorda, in filosofia la destinazione necessaria di tutte le nostre sane speculazioni al miglioramento continuo della nostra vera condizione, individuale e collettiva, invece che alla vana soddisfazione di una sterile curiosità”[2].

Secondo il filosofo soltanto la scienza è razionale ed  è quindi l’unica forma di sapere in grado di scoprire la vera realtà delle cose, ma la scienza indaga come è fatto il mondo e non perché esso esiste, cioè non si interroga sulle cause ultime della realtà. Infatti il compito della scienze naturali consiste unicamente nel rilevare le leggi che regolano i fenomeni studiati secondo le metodiche sperimentali specifiche di ogni disciplina.

Comte applica la metodologia propria della fisica per analizzare scientificamente le leggi della società ed elaborà una fisica sociale: nasce così la sociologia.

Il filosofo analizza la società in una prospettiva storica, infatti la sua indagine scientifica ha per oggetto la storia dell’umanità, la quale si sviluppa in modo progressivo tramite tre stadi: “lo stadio teologico o fittizio; lo stadio metafisico o astratto; e lo stadio scientifico o positivo”[3].

Nello stadio iniziale, cioè in quello teologico, l’essere umano “si rappresenta i fenomeni come prodotti dall’azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o meno numerosi […]”[4].

Nello stadio metafisico “gli agenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte, vere entità (=astrazioni personificate) inerenti ai diversi esseri del mondo […]”[5].

Nello stadio finale l’umanità è finalmente liberata dalla conoscenza erronea e mistificatrice degli stadi precedenti perché si è affermata l’epoca della scienza[6], nella quale si prende atto che è impossibile conoscere le cause ultime della realtà, perché essa può essere soltanto spiegata secondo la metodologia scientifica.

Scrive in proposito:

“Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di avere delle nozioni assolute, rinuncia ad indagare sull’origine e il destino dell’universo, e a conoscere le intime cause dei fenomeni,  per tentare di scoprire unicamente, mediante l’uso ben combinato della ragione e dell’esperienza, le loro leggi effettive, ossia le loro relazioni  invariabili di somiglianza e di successione. La spiegazione dei fatti, ridotta allora in termini reali,  altro non è che il legame stabilito tra i diversi fenomeni  particolari e qualche fatto generale,  il cui numero tende via via a dimunuire in seguito al progresso della scienza”[7] .

La storia umana, secondo Comte, progredisce[8] di bene in meglio e arriva al suo apice nell’ultimo stadio evolutivo, nel  quale grazie ai risultati offerti dalle scienze, l’umanità scopre di essere divina, cioè, scrive Comte, “un Essere immenso e eterno, l’Umanità”[9].

Dal Positivismo si sono originate nel tempo il Neo-positivismo e la filosofia della scienza odierna, popperiana e post-popperaiana, la quale non si riconosce nelle posizioni di Comte.

Essa infatti non divinizza l’uomo e soprattutto Popper considera assolutamente privo di scientificità il concetto di progresso inteso come sviluppo necessario e inevitabile, evidenziando in esso la matrice storicistica hegeliana.  Inoltre le teorie scientifiche non vengono intese come rispecchiamento fedele della realtà indagata, ma sono considerate come dei modelli interpetativi ipotetici che possono essere falsificati da nuove scoperte o da nuove teorie più esplicative.

In particolare la razionalità scientifica è una forma di razionalità, ma non l’unica. Infatti,  secondo Popper, il sapere scientifico è caratterizzato dalla controllabilità delle sue teorie, deve cioè essere possibile estrarre da esse delle conseguenze che possono essere confermate o smentite dai fatti. Il criterio della controllabilità empirica delle teorie è il critierio di demarcazione tra la scienza e tutti gli altri tipi di sapere, come ad esempio la metafisica e la teologia.

L’epistemologia odierna, a differenza di quella positivistica, è consapevole dei limiti metodologici della scienza, ma il fatto che si stia affermando oggi sempre più un modo di pensare relativistico, per cui “non esiste la realtà, ma solo interpretazioni”, può comportare il rischio di considerare la scienza e la sua applicazione, cioè la tecnica, come l’unico modo valido di conoscere e di operare anche sul piano antropologico, perché è unanime il consenso riguardo al valore e all’utilità della ricerca scientifica.

La scienza e la tecnica possono così essere di fatto assolutizzate, rischiando di considerare l’essere umano soltanto utilizzando le scienze empiriche, le quali, per limiti metodologici, sono impossibilitate ad indagare le dimensioni più profonde, di carattere spirituale, essendo esse  non osservabili e non controllabili empiricamente.

Inoltre potrebbe essere considerato moralmente lecito tutto ciò che è scientificamente e tecnicamente fattibile, aprendo la strada anche a sperimentazion genetiche eticamente inaccettabili. 

(La seconda parte è stata pubblicata sabato 28 dicembre 2013)

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NOTE

[1]  Cfr. A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione  LV, a cura di A. Lunardon, Editrice La Scuola, Brescia 1987, III ed., pp. 175-178.

[2] Idem, Discours sur l’esprit positif, Schleicher, Paris 1909, p. 50. Due significati secondari del termine positivo sono la certezza e la precisione (cfr. ibidem, pp. 50-51).

[3] Idem, Corso di filosofia positiva, Lezione I, cit., p. 9.

[4] Ibidem, p. 10.

[5] Ibidem.

[6]< /a> Il positivista Stuart Mill riteneva che l’ Etologia, da lui definita “scienza del carattere”, avrebbe potuto  essere in grado di determinare, sul fondamento dello studio scientifico della natura umana, le circostanze adatte per la formazione di caratteri prestabiliti del genere umano. Scrive infatti: “le leggi generali  dei diversi elementi costitutivi della natura umana sono anche ora abbastanza conosciute, tanto da rendere possibile al pensatore competente  dedurre da queste leggi, con una notevole approssimazione alla certezza, il tipo particolare di carattere che si formerebbe generalmente nel genere umano, con un determinato insieme di circostanze. Una scienza dell’etologia, fondata sulle legge della psicologia, è perciò possibile […]” (J.Stuart Mill, System of logic, Longmans and Green, London 1872, cap. VI).

[7] A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione I, cit., p.10.

[8] Comte considerava il  progresso indissolubilmente collegato all’ordine. Scrive  infatti:“L’ordine e il progresso, che l’antichità considerava come assolutamente inconciliabili,  rappresentano sempre più, per la natura della civiltà moderna, due condizioni egualmente importanti, la cui intima e indissolubile combinazione caratterizza ormai sia la fondamentale difficoltà sia la principale risorsa di ogni vero sistema politico. Nessun ordine reale può più essere stabilito, né soprattutto durare, se non è pienamente compatibile con il progresso; nessun grande progresso potrebbe effettivamente compiersi, se non tendesse infine all’evidente consolidamento dell’ordine” ( A. Comte, Corso di filosofia positiva, Lezione XLVI, cit., p. 89). 

[9] A. Comte, Catéchisme positiviste, Baillière, Paris 1866. p. 69.

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Maurizio Moscone

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