«La Bibbia è fondamentalmente un libro serio; eppure, come molti capolavori della letteratura, essa lascia filtrare al suo interno la leggerezza del sorriso». Un volto serio della teologia non può non includere il sorriso ironico e assolvente dinanzi alla propria incapacità di inglobare e dire l’Assoluto. L’ironia si presenta quindi come patrimonio necessario e salutare dell’impresa teologica. L’ironia si manifesta come «il pudore della verità» (V. Jankélévitch).
Il volume di Sergio Gaburro, L’ironia, “voce di sottile silenzio”. Per un’ermeneutica del linguaggio rivelato, Edizioni San Paolo, offre una prima elaborazione teologica dell’ironia cogliendone la pertinenza intrinseca alla rivelazione. L’ironia esprime la presa di coscienza del limite e segnala quindi una certa maturazione nell’espressione teologica. Per utilizzare un’espressione di Elmar Salmann «l’Assoluto ci assolve dall’essere assoluti», e l’ironia è una messa in pratica di tale sapienza del limite. Inoltre, l’ironia svolge una funzione profetica, le va riconosciuta – secondo Gaburro – «va riconosciuta una vocazione destabilizzante e anti-idolatrica».
L’ironia custodisce il pudore e la differenza dell’altro e protegge da un’apostasia peggiore dell’ateismo che è quella di annullare la differenza, facendo diventare l’A(a)ltro proiezione di se stessi, «un idolo costruito per parlare a piacimento, dove la sua parola non è altro che una parodia di quella reale». Con l’ironia si dimora nel paradosso rendendo possibile l’apertura di una fessura verso il Mistero.
L’ironia, per dirla brevemente, è essenziale alla teologia, al riconoscimento della sua pertinente dimensione apofatica. «La teologia ha a che fare con il Mistero che non si esaurisce nella sua soluzione teologica, ma mantiene un resto, e proprio questo resto è ciò che conta».
L’intento della riflessione teologica che integri l’ironia è quello di far uscire la riflessione teologica dal guscio delle certezze emotive e dalle mura sicure delle evidenze fabbricate verso la propria «vocazione di nomade», imparando ad abitare la tenda della provvisorietà nella quale può ospitare Dio, restando suo ospite, e accogliendo il Mistero senza impadronirsene[1]
Strutturalmente, il libro di Gaburro si divide in quattro parti. Nel primo capitolo si accenna al paesaggio dell’ironia nella sua «vocazione di mantenere contemporaneamente il rapporto e la distanza». Nel secondo capitolo si osserva il ricco paesaggio biblico da cui trapela il volto veterotestamentario dell’ironia. È un volto doppio di ironia verbale e di situazione. L’ironia permette al lettore di incrociare il detto del testo con il non detto al quale rinvia. Mentre il terzo capitolo è dedicato al NT. L’ultimo capitolo è dedicato alla presentazione del valore ermeneutico dell’ironia e la sua fecondità capace di aprire anche alla teologia uno spiraglio salutare.
Il libro è disponibile su Amazon.
*
NOTA
[1] Cf. S. Gaburro, L’ironia, “voce di sottile silenzio”, 25.