Un vecchio, maestoso ulivo, squarciato da un fulmine nel suo tronco poderoso, e, sotto, una panca, un luogo per scrivere e lavorare: Corrado Alvaro definiva questo posto, presso la sua casa di Viterbo, “la mia officina”. Una metafora bellissima, perché quell’ulivo era la sua Calabria. E’ solo una, questa, fra le numerose immagini intrise di umanità che Cesare Mulè, illustre catanzarese, presenta nel suo saggio biografico “Lo Specchio di Alvaro”, così ricco, fra l’altro, di inedito corredo iconografico, edito da Abramo.
Mulè è noto per il suo impegno istituzionale come sindaco della città di Catanzaro e per la specificità della sua opera culturale volta a valorizzare conterranei illustri ma poco conosciuti: l’umanista catanzarese Agazio Guidacerio, il politico e mecenate d’arte Giovanni Barracco, il prete popolare Antonio Scalise, e ora, Corrado Alvaro riletto in modo del tutto inedito, nella sua statura di dimensione europea ma specialmente nella sua permanenza a Catanzaro. Tra l’altro, Catanzaro è senz’altro la città che più di altre ha celebrato la memoria di Alvaro: basti ricordare la straordinaria mostra sullo scrittore calabrese risalente a qualche anno fa, così ricca di fotografie, documenti e filmati, e con ben quindicimila visitatori.
Mulè ha tratteggiato la figura di Alvaro che è figura di grande complessità, data l’ampiezza dei suoi orizzonti culturali, in cui sapientemente s’ incontravano l’identità calabra nella trasfigurazione mitico-fiabesca, e la realtà europea, evidenziando come suo interesse primario sia stato quello di dare di Alvaro una dimensione umana. E così l’affabulante scrittura dell’autore ci presenta un Alvaro che, giovane studente liceale a Catanzaro, passeggiava incantato sul corso Vittorio Emanuele, osservando i suoi coetanei vestiti elegantemente, con la paglietta bianca, godendo del lastricato confortevole del corso. Dense d’ incontri furono le serate futuriste a cui partecipava; studiava con grande profondità e fu notato da altri catanzaresi illustri: Bosco, Aromolo, Puccio.
Ma la sua più grande scuola fu quella ricevuta da Don Pippo De Nobili, che lo guidò riservandogli addirittura un angolo della biblioteca. Tutti i docenti lo stimavano, teneva relazioni nei circoli culturali e scriveva che la vita per lui era così bella che certe notti non riusciva a dormire, pensando a tutto ciò che di entusiasmante l’indomani gli avrebbe portato. Un pensiero bellissimo. Visse la guerra, a Gorizia, sull’Isonzo, e le sue “Poesie grigioverdi” sono la composizione più vera e dolente della letteratura di guerra. Sottoscrisse il manifesto degli intellettuali scritto da Croce contro il fascismo, che gli valse una profonda dicotomia con i circoli letterari romani che frequentava.
Il suo essere cristiano è certo, anche se non fu clericale: il suo figlio primogenito fu battezzato addirittura da un cardinale, ed egli fu chiamato dal Patriarca di Venezia (che poi sarà Papa Giovanni XXIII) a commentare il Vangelo di Matteo, opera che ebbe la prefazione di Ravasi. Quando un padre gesuita scrisse su Alvaro evidenziando riserve su alcuni suoi contenuti, il nostro scrittore ne rimase profondamente dispiaciuto, tanto da passare giorni inquieti fino a quando, dopo qualche mese, un altro gesuita scrisse un breve saggio per restituire dignità alla sua opera.
Ma perché la scelta di questo personaggio? “Le cause sono molteplici – risponde Mulè – da sempre ho letto e riflettuto sulla sua vita ed apprezzo la sua opera ricca di acute e profonde osservazioni ed il suo modo di scrivere evocativo, ma mi sentivo impari ad annotare le mie riflessioni. Avevo così grande rispetto ed amore da ammirarlo a distanza. Alla fine ho ceduto perché traboccava in me il desiderio di meglio approfondire la mia conoscenza e di comunicare ad altri considerazioni e riflessi”.
Così è nato anche il titolo: Lo Specchio di Alvaro. Racconta lo scrittore: “Mi sono deciso allorchè in un testo scolastico di una casa editrice primaria ho letto che Alvaro era nato a Reggio Calabria e studiato a Napoli e a Roma! Altre spinta che mi ha motivato è stata l’onestà non esibita ma vissuta che lo ha contraddistinto come uomo e come intellettuale e l’intensità della sua scrittura”.
La fatica del prof. Mulè ha aggiunto dunque una perla al patrimonio culturale calabrese: un’opera su Alvaro che, come scriveva Francesco Grisi, “è uno scrittore che richiama fratelli di fede e profeti che non tradiscono, come Campanella e Gioacchino da Fiore”. Perché in Calabria ci sono santi che nella religiosità popolare sono portati a fare miracoli. Ci sono donne e madri appassionate nei labirinti dell’amore e del dolore. E ci sono luoghi dove la magia diventa colore di cielo, di mare, di montagna.