Il 7 gennaio del 1844, 170 anni fa, nasceva Bernadette Soubirous, la veggente di Lourdes. In genere, quando si parla di Bernadette, ci si sofferma alla meravigliosa esperienza da lei vissuta, e la si immagina come una creatura speciale, fuori dall’ordinario, fortunatissima, che ha vissuto la più grande storia che si possa immaginare: conoscere, parlare con la Madre di Dio e diventare “ponte”, “mezzo” di congiunzione tra il cielo e la terra.
Raramente ci si interroga sulla “reale” esistenza di questa giovane donna. Sulla “quotidianità” concreta del suo vivere. Una quotidianità che fu triste, anonima, misera, monotona, piena di sofferenze fisiche e morali, che l’evento delle apparizioni non ha mitigato ma che, per certi aspetti, ha reso ancor più difficile e amara.
Eppure, è proprio quella “quotidianità” la parte più importante della vita di Bernadette. E’ la vera testimonianza del suo amore, della sua fede, della sua santità. Il cristiano è un “seguace di Cristo”, cioè del figlio di Dio che, per la sua esperienza redentrice in questo mondo, (prova di un amore immenso) ha scelto il mistero della sofferenza e della morte atroce sulla croce. “Chi mi ama mi segua”, ha detto Gesù. “La prova più sicura dell’amore è il dolore”, insegnava padre Pio. Le apparizioni della Madonna a Bernadette sono state un dono del cielo; le sofferenze che Bernadette ha sopportato con fede sono state la prova del suo amore per Dio.
Nel 1858, quando la Vergine Maria, preoccupata per la sorte dei suoi figli, decise di portare al mondo un suo aiuto straordinario, posò gli occhi e la sua benevolenza su una ragazza umilissima, poverissima, la più umile e povera che poteva forse trovare. Ma che, nella sua umiltà e nella sua povertà custodiva il grande dono della fede vera e dell’amore concreto per Dio e per il prossimo. Apparentemente, Bernadette era una nullità, in realtà era una grande santa, l’innocenza personificata, così vicina a Dio da attrarre la predilezione dalla Vergine Santissima.
Era figlia di François Soubirous e Louise, due persone buone, generose, ma estremamente sfortunate. Si erano sposati il 9 gennaio 1843. Lui aveva 34 anni, lei 17. Un anno dopo, esattamente il 7 gennaio 1844, nasceva la loro primogenita cui venne dato il nome di Marie-Bernarde, ma poi sempre chiamata Bernadette.
François e Louise gestivano allora il mulino che era stato del padre di Louise. Una azienda importante e redditizia. Ma loro due non erano tagliati per gli affari. Erano troppo buoni. Non riuscivano a farsi pagare dai creditori morosi. Louise trattava i clienti come familiari e, quando venivano per macinare il grano, offriva loro merendine e vino. In poco tempo sperperarono il loro patrimonio e si trovarono sul lastrico.
Nel 1852 dovettero andarsene dal mulino e cercare alloggio in città. La famiglia intanto era cresciuta. Louise aveva avuto altri cinque figli, tre dei quali erano morti. Bernadette era cagionevole di salute. Fin dai primi mesi di vita andava soggetta a raffreddori e bronchiti. Aveva sempre dolori di stomaco. Cresceva a stento. Nel 1855 rischiò di morire, colpita dal colera che in quegli anni stava decimando la Francia. Si salvò per miracolo, ma contrasse una forma d’asma che continuò a tormentarla per il resto della sua vita con crisi che spaventavano tutta la famiglia.
Alla fine del 1855, i Soubirous ricevettero una grossa eredità. Pensarono che la loro sfortuna fosse finita. François investì i soldi in un nuovo mulino e in un allevamento di bestiame fuori Lourdes. Ma in poco tempo si mangiò tutto e ripiombò nella miseria. Tornò a vivere in città, deriso da tutti. Affittò due misere stanze e riprese a fare il bracciante. Ma era un periodo nero. La Francia era stata colpita dalla siccità e imperversava una brutta carestia. François non trovava lavoro. Anche Louise era disoccupata. I loro figli non avevano da mangiare. Trascorsero giorni terribili. La famiglia era molto unita. Si volevano un gran bene anche nella miseria, ma la tristezza pesava come un macigno. François e Louise cercavano di annegare i dispiaceri bevendo qualche bicchiere di vino. Si sparse la voce che erano ubriaconi e la diffidenza nei loro confronti crebbe, facendo diminuire le possibilità di trovare lavoro.
In quella situazione, dovette darsi da fare anche Bernadette. Andava a lavorare anche se era ancora una bambina. E così non aveva potuto frequentare la scuola e neppure il catechismo. Quel poco di religione che conosceva glielo aveva insegnato la madre. A 13 anni, Bernadette aveva trovato un posto in un’osteria. Ma era trattata male. Le facevano fare tutti i lavori più umili, ed era sottoposta a continue insidie. Sentiva una grande nostalgia di casa e, dopo mesi trascorsi nella desolazione e nel pianto, tornò in famiglia.
[La seconda parte verrà pubblicata domani, domenica 5 gennaio 2014]