Il richiamo a sfuggire la “mondanità spirituale” è certamente uno dei temi chiave dell’insegnamento di papa Francesco. Non solo ne ha parlato il 9 marzo 2013, nella penultima delle Congregazioni generali dei cardinali, ma più volte è ritornato sul tema, come ad esempio nel viaggio dal particolare significato ad Assisi. Tale pericolo – già denunciato in Henri De Lubac, da cui Bergoglio ripreso l’avvertimento – lo si trova segnalato più volte anche da don Luigi Giussani in riferimento soprattutto alla contestazione ecclesiale degli anni 1967-1969. (Cfr. Alberto Savorana,Vita di don Giussani, Milano 2013, p. 384;411).
Gesù Cristo diventa lo strumento con cui mettere a posto le cose, e la comunità diventa compattezza sociologica, il regno di Dio diventa una nostra opera. Quando si dimentica che Cristo è la chiave di tutto, il cristianesimo diventa zero. La mentalità mondana si inserisce in noi per la paura nostra di essere minoranza, di non essere considerati al passo. […] Il contestatore non è affatto che voglia la distruzione del cristianesimo, è che in lui il fattore predominante è la modulazione del cristianesimo alle categorie mondane. Insomma, il fattore prevalente è il mondano; in nome della concretezza, in nome dei poveri, in nome della serietà, in nome dell’impegno, in nome di tutto quello che volete è la ri-emergenza del fatto mondano, del fattore mondano come prevalente.
La nostra posizione è quella per cui è chiaro che il cristianesimo è l’annuncio dell’eterno al mondo. L’eterno non è affatto qualche cosa di sovrastante il mondo, ma è il significato che è dentro il mondo, il tempo e lo spazio. Per cui è l’annuncio di qualche cosa che è permanente. Ma che cosa è permanente? Non è la flessione sociale, non è la flessione culturale, perché quella cambia di generazione in generazione. Il permanente è nella persona e basta, come avvenimento.