Concluso l’Anno della Fede, papa Francesco ha tenuto la penultima delle catechesi del ciclo sul Credo. Nel corso dell’Udienza Generale, tenutasi in piazza San Pietro, nonostante il freddo pungente e il cielo coperto, con circa 50mila pellegrini presenti, il Santo Padre si è soffermato sull’ineluttabilità della morte ed in particolare sul “morire in Cristo”.
Al giorno d’oggi, ha affermato il Papa, è diffuso “un modo sbagliato di guardare la morte”: essa “ci riguarda tutti” e “ci interroga in modo profondo”, specie quando, in maniera “scandalosa”, ci tocca da vicino o colpisce i più piccoli, i bambini o gli indifesi.
Quando è considerata la “fine di tutto”, la morte “spaventa, atterrisce, si trasforma in minaccia che infrange ogni sogno, ogni prospettiva, che spezza ogni relazione e interrompe ogni cammino”.
In una concezione atea, in cui la vita è incastonata tra i “due poli” della nascita e della morte, l’esistenza è concepita come un “trovarsi casualmente nel mondo e un camminare verso il nulla”. Esiste, tuttavia, anche un “ateismo pratico” che si sostanzia nell’esclusiva attenzione ai “propri interessi” e alle “cose terrene”.
Se si opta per quest’ultima errata concezione, “non abbiamo altra scelta che quella di occultare la morte, di negarla, o di banalizzarla, perché non ci faccia paura”, ha osservato il Santo Padre.
Eppure il “cuore dell’uomo” si ribella a questo assunto, in quanto tutti noi abbiamo un desiderio di “infinito”, una “nostalgia per l’eterno”. Pertanto, anche nel dramma della perdita di una persona cara, “sale dal cuore la convinzione che non può essere tutto finito, che il bene dato e ricevuto non è stato inutile” e che “la nostra vita non finisce con la morte”.
Questa “sete di vita” trova una risposta “reale ed affidabile” nella risurrezione di Gesù che, non solo ci dà la “certezza della vita oltre la morte ma illumina anche il mistero stesso della morte di ciascuno di noi”.
Tuttavia, ogni persona “tende a morire come è vissuta”: se la vita di un uomo è stata impregnata di misericordia, egli sarà preparato ad accettare il momento dell’estremo congedo come “il definitivo abbandono” che confida nelle “mani accoglienti” del Signore, in attesa di “contemplare faccia a faccia il suo volto”, vedendo Dio così come Lui è: “bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza”.
Dal momento che la morte è sempre in agguato, bisogna prepararvisi bene, pronti e vigilanti, stando sempre “vicino a Gesù”, specie “con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità”.
Il Signore è presente “nei più deboli e nei più bisognosi” (cfr. Mt 25,35-36.40), quindi, ha suggerito il Papa, “una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo”.
Per ricevere in eredità il Regno, è necessario praticare la solidarietà, compatendo il “dolore” e infondendo “speranza”. Il Santo Padre ha quindi affermato: “Chi pratica la misericordia non teme la morte!”. E ha ribadito il concetto, facendolo ripetere in coro ai pellegrini.
“E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo. Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre Dio, con Gesù, con la Madonna e con i santi”, ha poi concluso.