Partecipare si vuole e si può: la politica cambi marcia

Le pressanti attese della gente, l’esperienza di una grande associazione

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Tra i tanti spread incalcolabili, ce n’è uno che da tempo cattura la mia attenzione: la distanza tra la qualità dell’impegno civile e sociale nei territori e quello profuso dalle classi dirigenti regionali e nazionali. Mentre nelle strade delle nostre città vediamo fiorire e consolidarsi, dall’unione virtuosa di realtà laiche e cattoliche, iniziative di formazione al bene comune, di solidarietà progettuale, di assistenza concreta agli ultimi e ai penultimi, vediamo i partiti sempre più arroccati dentro il Palazzo e arroventati in discussioni che riguardano il proprio ombelico e poco più. È questa evidenza che mi porta a contrastare, da molto tempo, quella teoria secondo la quale “gli eletti sono lo specchio degli elettori”. Penso esattamente il contrario: questo popolo porta con sé un seme di profezia e generosità ben superiore a quello espresso da chi li rappresenta. Non solo: credo fermamente che il meglio dell’Italia sia quasi scientificamente tenuto alla larga dai partiti e dalle istituzioni, quasi per non “contaminare” un sistema di privilegi e mediocrità.

Perciò è importante il dibattito sulla legge elettorale (e sulle riforme). Svilisce che i partiti ne parlino solo in termini di convenienza particolare, e non colgano il portato della questione: le regole del voto sono un asse, un pilastro dal quale si capisce se si vuole incoraggiare o scoraggiare la partecipazione. L’attuale sistema rappresenta una ferita mortale, perché rende la politica e i politici inaccessibili e ingiudicabili. Ma sembra importare poco ai nostri decisori, impegnati in complessi calcoli finalizzati solo ad attenuare o sovrastimare il peso di eventuali sconfitte o eventuali vittorie. Lo stesso discorso si può fare per le riforme istituzionali: avere partiti che abbiano tutti il “vincolo” dell’apertura al territorio e “incarichi a tempo determinato”, avere un sistema decisionale più snello ed efficace dotato di adeguati contrappesi (conflitto d’interesse e contrasto alla corruzione in primis), rappresenterebbe un elemento di rinnovata credibilità e, forse, porterebbe un filo di entusiasmo in cittadini-elettori ormai esausti. Tutti gli ultimi dati sull’astensione, in fondo, sono un j’accuse preciso all’inerzia dei partiti e alla credibilità delle istituzioni stesse.

Non è vero, infatti, che la partecipazione è morta, che le persone si mobilitano solo per interessi particolari o localistici, che si è perso l’afflato verso il bene comune, verso un disegno complessivo del Paese e della comunità che lo abita. Nelle ultime settimane, in Azione cattolica stiamo rinnovando un’esperienza che si ripete ogni tre anni: le elezioni degli organismi democratici dell’associazione su base parrocchiale. Riporto alcune caratteristiche di questo voto: l’apertura delle “urne” è preceduta da riunioni programmatiche in cui sono coinvolti tanto i bambini quanto gli anziani, passando per gli adolescenti, i giovani e gli adulti; sono elettori attivi i ragazzi dai 15 anni in su (l’impatto formativo di questa esperienza è, per loro, formidabile); gli incarichi sono di durata triennale e rinnovabili una sola volta, senza alcuna deroga; le funzioni “esecutive” sono esercitate non da “un solo uomo al comando” ma da un presidente insieme ad un consiglio espressione dell’assemblea (e ovviamente, per la natura ecclesiale dell’associazione, insieme al parroco). La stessa “procedura”, con le stesse regole, si ripeterà nei prossimi mesi a livello diocesano, regionale e nazionale, coinvolgendo più di 300mila soci e almeno altrettanti simpatizzanti (i quali, pur esclusi dal voto, sono coinvolti in pieno nella fase programmatica). Bene, ho avuto la possibilità di partecipare a molte di queste elezioni, nei piccoli paesi di montagna e nelle grandi città, al Nord, al Centro e al Sud: ovunque è un fluire di entusiasmo, serietà e coinvolgimento che mi ha lasciato molta speranza.

Ovviamente le due esperienze, quella associativa e quella politica, non sono paragonabili né sovrapponibili. Eppure, a mio avviso, alcune “lezioni” le possiamo ricavare: le persone non vogliono essere “chiamate al voto”, ma coinvolte nei processi decisionali; debbono poter percepire che oggi, domani o dopodomani può toccare a loro dare un contributo diretto di responsabilità, e che nessuno glielo impedirà; meritano una effettiva libertà di scelta che, unita a regole chiare e di facile interpretazione, sono i soli due ingredienti che restituiscono autorevolezza alle istituzioni e indicano un mandato chiaro a chi deve governare. A molti, nel Paese, piacerebbe che fosse questo lo spirito con cui mettere mano a legge elettorale, riforma dei partiti e delle istituzioni.

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Fonte: Avvenire, domenica 24 novembre 2013

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Franco Miano

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