Un Re che ha il cielo come reggia, la croce come trono e due ladri come testimoni

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la XXXIV domenica del Tempo Ordinario

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXXIV.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C. Il presule propone anche una lettura patristica.

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LECTIO DIVINA 

Un Re che ha il cielo come reggia, la croce come trono e due ladri come testimoni

Rito romano

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – Solennità di Cristo Re – 24 novembre 2013

2 Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43

Rito ambrosiano

II Domenica di Avvento – Anno A

Bar 4,36-5.9; Sal 99; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18

I figli del Regno 

            1) L’importante non è essere come Gesù, ma essere con Gesù, come il buon ladrone.

            Gesù durante la sua vita terrena regnò[1], sostenne i suoi dicendo loro parole di verità, compiendo gesti di carità, servendoli fino a lavare loro i piedi e mostrando il suo infinito amore andando sul trono della Croce, dopo essere stato incoronato di spine da Ponzio Pilato. Gesù in questo modo risponde alla chiamata di guidare il popolo di Dio, ad esserne condottiero (cfr. prima lettura “romana” di oggi). La sua regalità è di origine divina ed ha il primato su tutto, perché in lui il Padre ha posto la pienezza di tutte le cose (seconda lettura), eppure il vangelo di Luca presenta la regalità di Gesù riportando la umanamente scandalosa investitura a re dei Giudei sulla croce. Due pezzi di legno incastrati uno sull’altro sono il trono paradossale del Signore della pace e dell’unità, che –non dimentichiamolo- ebbe come culla una mangiatoia in un povera stalla, dove fu onorato come uomo, come Dio e come Re dai pastori e dai Re Magi (mirra per l’umanità, incenso per la divinità e oro per la regalità).

            Non dimentichiamo però che se Cristo Re va in croce non è per dare uno spettacolo di umiltà, ma per rivelare l’amore appassionato di Dio per noi. La sua passione non è tanto la flagellazione, a cui sono seguiti gli sputi e i chiodi, quanto il suo cuore, che è tutto e solo amore “passionale” per ciascuno di noi. La Croce è la conclusione rigorosa e necessaria del discorso sul Monte delle Beatitudini del Regno dei cieli.

            Chi porta l’Amore è in balìa dell’odio e non si vince l’odio che accettando la condanna e perdonando. Chi è Amore perdona e lo dichiara: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

            Secondo me, quando il ladrone, che era accanto in croce accanto alla Croce-Trono di Cristo, senti questa dichiarazione di amore, credo che ne fu sconvolto al punto che si convertì[2] e domandò a Cristo di ricordarsi di lui, che possiamo considerare l’ultimo convertito da Gesù durante la sua vita terrena.

            Questa preghiera di Cristo Re che perdona era così nuova per il ladrone che si sentì richiamato a sentimenti così estranei al suo spirito e a tutta la sua vita. Questa intercessione di perdono riportò il “buon” ladrone” all’età più dimenticata dell’infanzia, quando era innocente anche lui e sapeva che c’era un Dio al quale si poteva chiedere la pace come i poveri chiedono il pane alla porta dei signori. Ma in nessun luogo, per quanto si ricordasse, c’era una  domanda di perdono come quella, così fuori dell’ordinario, così assurda sulla bocca ad uno che sta per essere ammazzato. Eppure quelle parole inverosimili trovavano, nel cuore disseccato del Ladro, una connessione con qualcosa alla quale avrebbe voluto credere, specie in quel  momento che stava per comparire dinanzi a un Giudice più terribile di quello dei tribunali.

            Gli ritornò in mente quel che aveva sentito raccontare di Gesù; poche cose e, per lui, poco chiare. Ma sapeva che aveva parlato di un Regno di pace e che lui stesso sarebbe tornato a governarlo. Allora, in un impeto di fede, come se invocasse la comunanza di quel sangue che grondava nello stesso  momento dalle sue mani di criminale e da quelle mani d’incolpevole, proruppe in queste parole: “Signore, ricordati di me nel tuo Regno!”. E Gesù, che non aveva risposto a nessuno che lo interpellava sotto la Croce, volse la testa, quanto poteva, verso il Ladrone pietoso, e gli rispose: “Io ti dico in verità che oggi sarai con me in Paradiso”. L’umile domanda del buon Ladrone bastò per ottenere l’assoluzione.

            Questo uomo si salvò perché seppe trasformare la condanna in croce in un gesto di pietà. Fu con Cristo e Cristo da subito (oggi, gli disse Gesù) lo accolse nella sua pietà[3].

            2) La continuazione della via amorosa della Croce.

            La Chiesa e noi con questa grande e bella Madre, si vuole festeggiare la regalità del Signore, dobbiamo ripercorrere la via della Croce.

            Gesù è un re condannato innocente. E agli occhi degli uomini la sua sembra una regalità da burla: gli uomini sono abituati a ben altri re e a ben altre manifestazioni della regalità. Questo Gesù lo aveva fatto già capire in precedenza: «I re delle genti le signoreggiano e coloro i quali dominano su di esse si fanno chiamare benefattori. Ma non così voi” io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,25-27). C’è dunque una radicale differenza fra la regalità del mondo e la regalità di Dio, fra le manifestazioni della prima e le manifestazioni della seconda. La scena della crocifissione del Vangelo di oggi (Lc 23,33-43) raduna i motivi dispersi portandoli a compimento. Anzitutto la regalità di Cristo è affermata. San Luca usa una costruzione enfatica: «Questi è il re dei giudei» (v. 38). È il motivo della condanna che vorrebbe significare, nella mente dei capi, la fine dell’assurda pretesa di Gesù: invece è l’affermazione inconsapevole che proprio lì, sulla Croce, la regalità di Gesù si manifesta in tutto il suo splendore.

            Gesù muore fra due condannati (lungo la sua vita egli fu sempre accusato di andare con pubblicani e peccatori): uno non comprende, prigioniero – come tutti – dello schema mondano della regalità («Non sei tu il Messia? Salva te stesso e noi»); ma l’altro intravede, dietro la debolezza della Croce, la potenza dell’amore che vi traspare: “Ricordati di me quando verrai nella tua regale maestà” (v. 42). Ora il motivo centrale ci è chiaro: la regalità di Gesù risplende nell’ostinazione dell’amore, nel rifiuto della potenza per salvare se stesso e per sottrarsi alla contraddizione.

            Ecco ciò che è inaudito: Gesù non si serve della sua potenza divina per salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto. Gesù si abbandona totalmente all’apparente debolezza della non violenza e dell’amore.

            Dunque la regalità di Gesù è legata alla Croce. Tuttavia anche quegli aspetti che noi indichiamo come splendore, gloria, vittoria e potenza, non sono assenti. E difatti il Crocifisso è risorto e il Figlio dell’uomo tornerà nella maestà della sua gloria. Ma si tratta sempre della gloria dell’amore, del trionfo della via della Croce. Risurrezione e ritorno di Gesù sono la rivelazione dello splendore e della forza vittoriosa che la via della Croce nasconde. È in questa prospettiva che va compresa l’affermazione di San Luca, che cioè il Cristo, crocifisso e risorto, regna già ora: oggi.

            3) Spose di Cristo Re crocifisso.

            Un Re così vale  davvero la pena seguirlo e  rispondere alla vocazion
e sponsale che rende le persone corredentrici, portando, reggendo con lui in Croce il peso del mondo. A Dio che dice “Non avere paura, non temere perché io sono con te e ti amo” (Is 43, 45), la risposte più naturale è “sì”. In questo ci sono esempio e testimonianza : “Le vergini consacrate che celebrano nozze mistiche con Gesù Cristo figlio di Dio e si dedicano al servizio della Chiesa” (Canone 604 del Codice di Diritto canonico). Nel rito della consacrazione delle vergini il Vescovo chiede alla candidata: «Vuoi consacrarti ed essere sposata solennemente con nostro Signore Gesù, sommo figlio di Dio? » E, nell’orazione di consacrazione, il Vescovo le dice: «Che tu rimanga sempre fedele a Cristo tuo sposo e imiti la fedeltà che si esige agli sposati ». E poi prega così: «Signore, che ti glorifichi con la santità del corpo e con la purezza dell’anima… Sii tu il suo amore, la sua gioia, il suo volere, tu il conforto nel dolore, tu il consiglio nell’incertezza, tu la difesa nell’ingiuria, la fortezza nella tribolazione, l’abbondanza nella povertà, il nutrimento nel digiuno, la medicina nell’infermità. Essa, che ha scelto te, soprattutto in te trovi tutto» (n 24).

Santa Teresa di Gesù, parlando della professione religiosa, scriveva:

«Oh matrimonio consacrato!

Il re della maestà è stato sposato.

Oh fortunata quella fanciulla,

poiché ha preso, come marito,

colui che regna e che deve regnare.

Ricchi gioielli vi darà questo sposo,

re del cielo, che è re e farlo ben potrà.

Oh che splendida sorte

vi era stata preparata!

Che Dio vi volesse per amata!

Nel servirlo siate molto forti,

poiché l’avete professato.

Che il Re della Maestà

è già da voi sposato!»

            Non dimentichiamo però che noi tutti siamo scelti da tutta l’eternità (cfr. Ef 1, 4) perché regnassimo con Lui, “a lode della sua gloria” (Ef 1, 12). A ciascuno di noi dice: “Tutto ciò che è mio è tuo, e tutto ciò che è tuo è mio” (Gv 17, 10), e noi preghiamo: “Venga il tuo Regno” nel nostro cuore, nella nostra mente e nella nostra volontà per sostenere con Cristo il mondo che anela risollevarsi.  Quali figli e figlie del Re preghiamo: “Venga il tuo Regno” cioè la Tua potenza di amore, o Signore, salvi il mondo intero.

*

LETTURA PATRISTICA 

Venga il tuo regno

Dall’opuscolo «La preghiera» di Origene, sacerdote 

 (Cap. 25; PG 11, 495-499)

Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell’anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell’affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l’Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza delVerbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l’iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov’è , o morte, il tuo pungiglione? Dov’è , o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d’ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di « incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell’immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.

*

NOTE

[1] Regnare deriva dal verbo latino “règere” = 1. reggere, governare, dominare, amministrare, comandare; 2. dirigere, guidare; 3. regolare, correggere, guidare sulla retta via; 4. stabilire, fissare, tracciare i confini.

[2] Convertirsi in greco è indicato con due verbi. Il primo è epistréfo che vuol dire voltarsi verso, il secondo è metanoéo che vuol dire “cambiare mentalità, pensiero”. La conversione cristiana implica le due cose: il voltarsi verso Cristo e assumere la Sua mentalità.

[3] La parola pietà vuol dire prima di tutto “consuetudine di amore”, tant’è vero che con l’espressione “pratiche di pietà” si intende le “preghiere”.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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