Particolarmente interessante notare come l’export africano verso i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ha soppiantato in larga parte quello verso l’Europa precipitato dal 40 al 20% del totale. Anche questo è un segno di decadenza dell’Europa.
Alcuni cambiamenti nelle tendenze demografiche e sociali stanno contribuendo ad aiutare una crescita di lungo periodo dell’economia africana. Cambiamenti in grado di creare nuovi motori per la crescita interna.
Il primo elemento fondamentale riguarda la crescente urbanizzazione che si registra in Africa.
Nel 1980 solo il 28% degli africani viveva in città, oggi il 40% del miliardo e più di africani che vivono nel continente risiede in centri urbani.
Secondo gli studi della Banca Mondiale sezione Africa, nei prossimi vent’anni questa percentuale supererà la storica soglia del 50%, e, ad oggi sono già 52 le città africane che contano oltre un milione di abitanti.
Con il trasferimento di milioni di africani dalle campagne alle città, si assiste ad una crescente classe media. Nel 2008, più di 85 milioni di famiglie africane hanno avuto entrate che vanno da 5000 dollari in su. Questa è la soglia identificata dagli esperti oltre la quale si inizia a spendere circa la metà del proprio reddito in beni che non siano quelli alimentari.
Secondo i dati aggregati, il numero di famiglie con un discreto potere di acquisto è destinato a crescere del 50% nei prossimi 10 anni arrivando a quasi 130 milioni di famiglie.
Secondo il rapporto di Mckinsey entro il 2030 le principali 18 città del continente potrebbero avere un potenziale di spesa combinato di quasi 1300 miliardi di dollari.
Nel frattempo la forza lavoro del continente continua a espandersi e, ai ritmi di crescita attuali, nel 2040 è proiettata a raggiungere la cifra di 1,1 miliardi di lavoratori, superando i numeri di Cina e India.
Se l’Africa, il continente più giovane del pianeta, sarà in grado di fornire ai suoi ragazzi l’educazione e le competenze necessarie, questa enorme forza lavoro sarà in grado di rappresentare una fetta notevole della produzione e del consumo globale.
La crescita impetuosa e utilitarista rischia di essere limitata dall’impatto ecologico.
Estremamente dannosa risulta essere l’agricoltura slash and burn, letteralmente taglia e brucia, che oltre a deforestare ha danneggiato seriamente due terzi delle terre coltivabili.
I contadini africani nel 1950 disponevano di oltre 13 ettari di terreno pro capite; oggi di poco più di 4 ettari.
La corsa all’accaparramento di terre coltivabili da parte dei BRICS e delle multinazionali è ingente. Il Sudan ha ceduto 1,5 milioni di ettari ai paesi del Golfo Persico. La Cina ha acquistato in Congo 2,8 milioni di ettari di terra per produrre carburanti da olio di palma.
Secondo le stime dell’International Food Policy Research Institute di Washington dal 2006 sono stati ceduti in Africa terreni pari all’intera superficie coltivabile della Francia e firmati contratti per 30 miliardi di dollari.
La cifra può fare impressione come valore assoluto, ma rapportato all’estensione complessiva, significa che i terreni sono stati ceduti a prezzi irrisori.
C’è poi il problema della lotta alla povertà. Per la Banca Mondiale, infatti, si evidenzia come “dopo più di un decennio di forte crescita economica, l’Africa è stata in grado di ridurre la povertà nel continente, ma non in misura sufficiente”.
Shanta Devarajan, capo economista per l’Africa della Banca Mondiale e principale autore del nuovo rapporto ha spiegato che “Mentre il quadro generale che emerge dai dati è che le economie africane sono cresciute in maniera robusta e che la povertà sta diminuendo, non possiamo non precisare che il dato aggregato nasconde una grande diversità in termini di prestazioni, anche tra i paesi che in Africa stanno crescendo più velocemente”.
Devarajan ha aggiunto che durante la seconda metà degli anni 2000, Etiopia e Ruanda hanno visto le loro economie crescere dell’8-10 per cento, un dato che ha determinato un calo di 1,3-1,7 punti percentuali ogni anno nei loro tassi di povertà nazionali .
Al contrario, la riduzione della povertà in altri paesi è rimasta molto indietro rispetto alla crescita dei dati macroeconomici.
La crescita impetuosa dell’economia africana è confermata dal Rapporto sullo sviluppo umano 2013, presentato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) il 14 marzo scorso.
L’enfasi messa dal Rapporto sulla crescita sia economica che sociale in Africa, non dimentica le disuguaglianze.
Quattro quinti dei paesi africani risultano infatti quelli con l’indice di sviluppo umano (ISU) più basso del mondo.
Gli ultimi 12 posti della classifica di sviluppo umano sono occupati dall’Africa, con la Repubblica democratica del Congo a condividere il fanalino di coda con il Niger.
I paesi africani sono anche quelli dove l’indice Isu corretto, tenuto conto della disuguaglianza, è minore.
Ancora una volta viene dimostrata come in problema dell’ingiustizia sociale non risiede solo nella mancanza dei beni e delle ricchezze, ma nell’egoismo e nell’approccio utilitarista che non riesce a dare vita ad una economia al servizio integrale del bene comune.
Per quanto riguarda l’Africa è evidente un urgente necessità di scuole, università, ospedali, infrastrutture, strade, ponti…
L’alto numero di giovani è un vantaggio che non può crescere se non si trasforma in capitale umano e sociale.
Come scriveva Martin Luther King, “L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia dovunque” (Lettera dalla prigione di Birmingham, in Atlantic Monthly, 1963).
(La prima parte è stata pubblicata ieri, mercoledì 25 settembre)