Riportiamo le parole di Riccardo Cerantola, malato di SLA e padre di due figli. La testimonianza è stata raccolta da Anna Fusina.
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Sono un papà di 39 anni, malato di SLA, una delle malattia più terribili che possa colpire l’uomo. La SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) è una malattia neurodegenerativa che porta alla morte di tutte le cellule che servono a far muovere tutta la muscolatura volontaria e quella che serve per poter camminare, parlare, respirare…
Avevo solo 33 anni quando iniziarono i primi sintomi, ma mai nessuno avrebbe pensato a quale tragedia sarei andato incontro. Io e mia moglie avevamo coronato la nostra unione dando la vita ad una bimba bellissima: un orgoglio indescrivibile.
Nel frattempo i mesi passano e la malattia continua il suo corso, si passa da un ospedale all’altro, con la speranza che la diagnosi cambi! Nostra figlia intanto cresce velocemente, e lei, così piccina, mi dà così tanta carica di vita che a volte mi scordo addirittura della malattia.
La vita continua; malgrado la vistosa decadenza del fisico, non demordo. Mia moglie rimane incinta del secondo figlio, da noi voluto, anche contro il parere dei medici, che ce lo sconsigliavano onde evitare ulteriori problemi.
Ma per me e mia moglie, per noi, qualunque sia l’esito, il figlio é dono, é vita, é nuovo futuro! Dopo 9 mesi nasce un bimbo. Non potete immaginare cosa ho provato in quel momento. Con una disabilità grave che avanzava senza guardare in faccia nessuno, divento nuovamente padre.
I mesi passano, i bimbi crescono, e io peggioro più velocemente di quello che si pensi. La SLA é riuscita ad annientarmi totalmente. Lei ti toglie tutto così, senza scrupoli, lasciandoti totalmente lucido da guardare cosa ti riesce a fare.
In noi, malati di SLA, lo scorrere del tempo fa sì che il nostro corpo diventi un estraneo al nostro animo. Le nostre emozioni, però, sono la ragione dell’immensa voglia di lottare! Il nostro sorriso, seppur sofferente, emana calore e serenità; lo sguardo profondo e velato di malinconia esprime il coraggio infinito di vivere.
A noi malati di SLA la vita ha negato tutto… “o quasi”, lasciandoci solo l’uso degli occhi e del pensiero. Un pensiero che non si ferma mai e ritorna a quando da bambino correvo nei prati spensierato, pieno di energia e con tanta voglia di diventare grande, o al giorno in cui ho visto per la prima volta mia figlia e l’ho stretta tra le mie braccia o a quel figlio che solo con una mano avevo potuto accarezzare, perché la SLA non mi permetteva altro.
Niente vacanze al mare, nessuna corsa in bicicletta, nessun bacio e carezza posso più dare ai miei figli…
Nessun semplice gesto mi è più concesso, nemmeno di piangere per poi asciugarmi le lacrime, perché sono gli altri che devono asciugarle a me!
Ma la SLA non mi ha negato la voglia di amare e di essere amato, perché la vita è fatta anche di semplici gesti, di un sorriso, di uno sguardo, delle persone che ti sono vicine e ti sostengono, e piangono e ridono insieme a te.
Adesso i miei bimbi hanno 8 e 5 anni, e sono quasi 4 anni che io sono prigioniero del mio corpo, muovendo solo gli occhi, con i quali vi sto scrivendo attraverso un computer ottico. Il mio stato attuale é grave: respiro grazie a ventilatore meccanico, mangio tramite un sondino nello stomaco e sono totalmente paralizzato, e non parlo più. Questa é la Sla, una malattia senza cura, e che porta più della metà dei malati a scegliere di non vivere.
Ma io ho scelto di combatterla, perché la carica di essere padre e marito supera la paurosa vita da affrontare e la semplicità dell’amore dei propri figli può abbattere qualsiasi barriera. Se loro non ci fossero, sarebbe un’altra vita.
Loro mi stanno facendo vivere la mia seconda vita attraverso la loro semplicità di amare. Ci sono sentimenti difficili da esprimere con le parole, ci sono sorrisi, sguardi, abbracci impossibili da dimenticare, quando sono da parte dei tuoi figli. Ringrazio mia moglie e i miei figli per avere dato la vita a un papà prigioniero del suo corpo.
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Fonte: vitanascente.blogspot.it