Diagnosi prenatale genetica: la definizione in 3 punti

Per il Glossario di Bioetica, è la valutazione del numero e tipo dei cromosomi di un embrione o di un feto, che può essere «diretta» o «indiretta», e non è eticamente neutra

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Diagnosi prenatale genetica: Valutazione del numero e tipo dei cromosomi di un embrione o di un feto, che può essere «diretta» (con un prelievo di tessuti fetali) o «indiretta» (ormoni materni, esame ecografico mirato), e non è eticamente neutra, dato che  il solo farla  mette nelle condizioni di aprire a scelte sulla vita o la morte fetale. 

Il realismo

La diagnosi prenatale genetica (DPG) è l’accertamento dello stato cromosomico del feto, cercando cioè malattie che al momento non hanno cura. Si può eseguire per via diretta analizzando le cellule fetali (amniocentesi o villocentesi) o per via indiretta con ecografie mirate a cercare dei segni di anomalie genetiche oppure misurando i valori ormonali nel sangue della madre. Non si tratta della pura “diagnosi prenatale” che invece ha un intento curativo. Nella DPG ci troviamo a che fare con due soggetti: il figlio e la madre. Il feto su cui si fa la diagnosi è infatti un essere vivente; per questo ci troviamo di fronte ad un paradosso: si fa la diagnosi ad A – senza che lui/lei lo chieda – nell’interesse di B. E dato che si tratta di malattie che non possono essere curate, che se si scoprissero alla nascita non avrebbero un trattamento migliore che se scoperte quando è ancora possibile l’aborto, alcuni hanno supposto che la DPG è un indebito ingresso nella privacy genetica dell’individuo. Il rischio di morte fetale come “effetto collaterale” dell’amniocentesi è rilevante: : 5-10 ogni 1.000 amniocentesi. Certo, la donna può essere ansiosa in gravidanza e conoscere la condizione genetica del figlio può essere d’aiuto per ridurre l’ansia; ma la DGP può essere esito di un desiderio di controllo sul figlio, che va ben oltre il periodo prenatale; e può infine essere ordinata all’interruzione di gravidanza in caso di anomalia genetica. 

La ragione

C’è un pregiudizio in favore della donna o del bambino? Il desiderio di giustizia ci porta a considerare sia gli interessi della donna che quelli del bambino: entrambi devono essere considerati con attenzione e senza pregiudizi. Il desiderio di bellezza ci può portare a considerare erroneamente la bellezza come solo fattore estetico, ed erroneamente come assenza di anomalie: tanti ci mostrano che la diversità e la differenza sono ricchezza, anche quando richiedono fatica e cure. È comprensibile l’ansia della donna in una società che addirittura mette la bellezza estetica come sommo principio, che non dà aiuto sociale ed economico alla disabilità, che obbliga culturalmente nei fatti ad un esame genetico prenatale; per questo nel caso di forte angoscia, si può comprendere che si esegua un accertamento genetico, ma è difficile una sua giustificazione come routine.

Quale cultura produce la diffusione della DPG come routine? Probabilmente una ansia diffusa nella popolazione: il figlio è ormai unico e non si accetta altro risultato dalla gravidanza che quello di una presunta “perfezione”; e il problema non risiede nel singolo o nella coppia, ma nella cultura generale che ha forgiato una generazione che sa accettare se stessi solo se rientra nei canoni estetici ed economici propagandati dai massmedia, per una mancanza di aiuto sociale e culturale a chi è malato; figurarsi come saprà accettare il figlio che non è conforme. Il paradosso è che, mentre l’idea del figlio “diverso” porta quasi tutti a premunirsi per saperlo prima della nascita, con un alto tasso di aborti di bambini con possibile disabilità, i genitori che hanno figli malati mostrano una capacità di sacrificio e di creatività eccezionali, nonostante l’abbandono in cui talvolta sono costretti.  

Il sentimento

Il primo pensiero di tanti appena inizia una gravidanza, subito dopo la gioia della scoperta, è: «Lo teniamo?». E’ un segnale di allarme di un modo impaurito di pensare a noi stessi e alla vita; serve un percorso preordinato e virtuoso, che di fronte alla gravidanza prima educhi alla bellezza, e solo poi alla malattia: un percorso ansiolitico. Se poi proprio lo stato di ansia è grande, si accerti anche la presenza di eventuali malattie fetali genetiche come scelta fatta per venire incontro allo stato d’ansia; ma per chi considera sacra la vita, pensare di poter poi arrivare all’aborto è una contraddizione gravissima, dunque prima di entrare in un processo di accertamenti genetici bisogna pensarci bene.  

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DONUM VITAE

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Carlo Bellieni

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l'Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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