Quei medici senz'arte schiacciati tra budget e protocolli

Riflessione sul nuovo Codice di Deontologia medica italiano

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E’ stato diffuso dall’associazione Scienza e Vita un documento di critica sul nuovo codice deontologico della federazione degli ordini dei medici italiani. “Tre sono gli elementi di principale criticità nel testo in discussione: la perdita del senso stesso della nozione di deontologia; lo svuotamento della relazione medico-paziente; la riduzione di un testo vitale a mero mansionario” commentano Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, Presidente e Copresidente nazionali dell’Associazione Scienza & Vita. “Il Manifesto è stato elaborato grazie all’ampio, dettagliato e rigoroso lavoro del gruppo dei medici di Scienza & Vita. I punti critici riscontrati sono stati molteplici, ma si è scelto di tenere alta l’attenzione su alcuni articoli fondativi, le cui proposte di modifica, contenute nella bozza del nuovo Codice, sono fonte di preoccupazione condivisa da molti altri appartenenti ad associazioni mediche.”

Il manifesto, aperto alla sottoscrizione, è scaricabile dal sito web dell’associazione e punta il dito sulle criticità del nuovo codice mettendone in luce le contraddizioni e le lacune. Ecco allora cosa non vogliamo da un codice medico. Ma a cosa puntare? Non è scopo del documento, che non approfondisce la chiave positiva e propositiva proprio per essere coerente con quanto richiesto, cioè migliorare il codice esistente. Ma è necessario dare delle indicazioni positive e costruttive. Qui ci preme sottolineare un criterio fondamentale, anzi fondativo su cui un codice deontologico si dovrebbe basare: la medicina come arte della cura, base negletta di un vero codice medico.

Sembra un proposito poetico, invece è uno sguardo che vuole far uscire da una fatica il mondo medico, ormai schiacciato dai budget, compresso in ospedali diventati aziende  e solo in apparenza aiutato dal proliferare di linee-guida e protocolli. Non è poesia guardare la professione del medico come un’arte, perché l’arte non è improvvisazione o fantasia (come erroneamente si pensa) ma passione  per il compimento di un’opera, riconoscendo quello che gli altri non vedono.

Non è poesia perché i medici oggi sono spesso infelici (come riportava il British Medical Journal nel giugno 2001) e sono a rischio di stress (vedi il New Zealand Medical Journal dell’agosto 2009).Segno della fatica è l’alto livello di burnout, cioè di stress dovuto ad una perdita di passione e di rapporti umani sia tra colleghi che verso il paziente (che oggi è diventato “l’utenza”). Così come ne è segno l’appiattimento – che nella pratica avviene – dell’etica alla legalità, per il quale si pensa che sia eticamente lecito quello (e solo quello) che la legge non sanziona e quindi non sprona a fare qualcosa in più di un supposto mansionario o di opporsi laddove un compito cozzi con la propria coscienza.

Segno della fatica è il fatto che la società non capisce più cosa è la medicina, sentendola talvolta come un supermarket, talvolta come un mondo onnipotente, nel primo caso sottostimandolo preoccupantemente e nel secondo sovrastimando insensatamente. Ne è prova l’uso quotidiano del termine “malasanità” per indicare l’errore medico invece di indicare l’errata concezione della medicina come fenomeno aziendale deresponsabilizzante.

E ne è prova l’abbandono del tradizionale giuramento di Ippocrate, svuotato oggi dal riferimento al non abortire e non praticare eutanasia (si chiami dunque quello odierno con un altro nome, per carità).

Riportano Gemma Migliaro e Raffaele Latocca, nel sito dell’Associazione Medicina e Persona, in un editoriale sul nuovo codice deontologico: “Perde vigore il cardine del nostro “in scienza e coscienza”: più entriamo con la norma nel dettaglio più togliamo pezzetti alla coscienza. Alla fine resterà un mansionario che non avrà  bisogno della nostra libertà”.

Una nuova deontologia, quella che aspettano tanti medici per riprendere amore al loro lavoro, è una deontologia che per prima cosa mostra la bellezza del curare, che ne mostra la peculiarità dell’entrare in confidenza, in intimità, in democratico e drammatico possesso delle chiavi della salute, sapendo che la salute e la felicità non sono nostro proprietà ma che dobbiamo fare di tutto per agevolare chiunque verso di esse; e il medico può far questo. La deontologia nuova è per l’appunto un gusto che non viene solo dallo stipendio o dai diritti sindacali; un’arte che deve essere ancora scritta e che tanti si aspettano di veder ben esercitata dai medici: non bastano nuovi protocolli o nuovi diritti. 

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Carlo Bellieni

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l'Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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