Riprendiamo di seguito l’omelia tenuta questa mattina nella festa della Natività di Maria dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, in occasione dell’inizio dell’Anno pastorale e del rito di ammissione dei candidati al Diaconato e al Presbiterato.
Durante il Solenne Pontificale, il porporato ha presentato la nuova Lettera pastorale “Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano”.
***
1. «Io sono la madre del bell’amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; in me ogni dono di vita e di verità, in me ogni speranza di vita e ogni virtù» (Lettura, Sir 24,18). Lungo i secoli la tradizione della Chiesa ha sempre ravvisato in questo versetto del Siracide la descrizione del mistero di Maria santissima e, nello stesso tempo, del mistero della Chiesa.
Maria è veramente la madre del bell’amore, personificato in Gesù; è la fonte inesauribile di speranza per il cammino di ogni giorno. E la Chiesa, popolo santo convocato da Dio, pellegrina sulle strade della storia insieme a tutti i fratelli uomini, è la casa, la dimora della santa speranza, di ogni speranza di vita e di virtù. Abituarci a pensare la Chiesa a partire da Maria è, sempre più, nel mondo di oggi una necessità. Ci aiuta a pensare la Chiesa in termini personali. Chi è la Chiesa? è la domanda che ci libera dalla prevalenza, spesso ottundente, del “fare” sul “contemplare”, entrambe dimensioni necessarie all’esistenza cristiana.
Se il rapporto con la Chiesa non passa attraverso una convinta assunzione personale sarà impossibile – lo dico oggi in special modo per voi carissimi che sarete ammessi quali candidati al diaconato e al presbiterato – «lavorare con entusiasmo per la salvezza dei fratelli a gloria del tuo nome» (Orazione dopo la preghiera universale). Senza questo entusiasmo (con buona probabilità l’etimologia della parola entusiasmo – aver un Dio dentro – è riconducibile all’idea di essere ispirato da Dio) infatti non si testimonia che la Chiesa, mai estranea, mai nemica, è espressione del bell’amore offerto a tutto l’uomo e a tutti gli uomini.
In questa Solennità della Natività della Beata Vergine Maria, la Chiesa ambrosiana dà inizio al nuovo anno pastorale, riconoscendo così in Maria, che dona suo Figlio al mondo, la sua autentica fisionomia.
2. Come aprire sempre di più l’azione ecclesiale della nostra Diocesi alla santa speranza? Questa domanda vale per noi e per i nostri fratelli uomini.
A partire dall’autunno dello scorso anno ha preso forma la proposta pastorale: “Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano”. Vorremmo, nonostante i nostri limiti, dare testimonianza che la Chiesa non ha altra ragion d’essere se non l’annunciare a tutti gli uomini Gesù come l’Evangelo dell’umano, cioè come la buona notizia per tutto l’uomo e per tutti gli uomini.
Infatti «non c’è niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. Tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo inviati. E questo perché ciascuno di noi, in quanto segnato dalle situazioni della vita comune, è nel mondo. Siamo, ci ha ricordato Papa Francesco, chiamati a promuovere la cultura dell’incontro” (Rio de Janeiro, 27 luglio 2013). Non dobbiamo pertanto costruirci dei recinti separati in cui essere cristiani. È Cristo stesso a porre la sua Chiesa ed i figli del Regno nel campo reale delle circostanze comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne» (Il campo è il mondo 4,a).
Di fronte all’ampiezza e alla complessità del campo che è il mondo talora siamo colti da tremore e, non di rado, la tentazione di ritirarci ci assale.
Ci soccorre in proposito la docilità di fede di Giuseppe, il giusto, come abbiamo ascoltato nel Vangelo (cf. Vangelo, Mt 1,18-23). In questa ottica la pochezza della nostra fede, lungi dall’essere un’obiezione alla nostra apertura a 360°, è condizione della sua verità. Non cerchiamo infatti la nostra gloria. Vogliamo, come dice il salmo, dare gloria al Suo nome, al nome di Colui che, “preso a servizio” dal Padre, ha trovato la sua gloria nell’impotente ignominia della croce.
Questa consapevolezza, che accompagna la vita di ogni fedele, deve caratterizzare ancora più acutamente gli “ammittendi”, che saranno chiamati a svolgere il ministero ordinato a servizio di tutto il popolo di Dio.
L’apostolo Paolo nellaLettera ai Romani ci indica la strada per superare la sproporzione tra la missione del cristiano e le nostre povere forze. Egli, riferendosi all’origine della nuova creatura che non cammina più secondo la carne (cf. Epistola, Rm 8,4), ripete per ben tre volte in soli due versetti questa espressione: «Lo Spirito che abita in voi» (Epistola, Rm 8,9-11).
Solo lo Spirito del Signore Risorto, che ci è stato gratuitamente donato nel santo Battesimo, che accompagna ciascuno di noi per tutto l’arco dell’esistenza e che, lungo i secoli regge, sorregge e corregge la comunità cristiana, è garanzia della santa speranza che abita nella Chiesa a favore della famiglia umana. Non abbiamo, infatti, da condividere con i nostri fratelli uomini se non quello che, gratuitamente e immeritatamente, abbiamo ricevuto: Gesù, colui che «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Vangelo, Mt 1,23).
3. Carissimi, all’inizio di quest’anno pastorale, vogliamo fare nostra, con rinnovata consapevolezza, la preghiera sui doni che tra poco reciteremo: «Ci soccorra, o Dio, l’umanità del tuo Unigenito» (Sui doni).
È l’umanità del Figlio di Dio che risplende sul volto dei testimoni e ridà speranza e fiducia ai nostri fratelli uomini. «Dio ha voluto entrare nella storia come uno di noi e cambiare la vita degli uomini attraverso una trama di relazioni nata dall’incontro con Lui. Dopo l’incontro con Gesù di Nàzaret nulla fu più come prima nella vita dei discepoli. Mentre lo ascoltavano, camminavano con Lui per le strade di Galilea, lo vedevano abbracciare i peccatori e guarire gli ammalati, condividevano le loro giornate con Lui… insomma dalla convivenza con Gesù ebbe inizio una storia ininterrotta di rapporti umani, che ha raggiunto anche noi, in cui Dio stesso si comunica da Libertà a libertà» (Il campo è il mondo 3, b).
Con questo spirito tutti i fedeli e tutti gli uomini di “buona volontà” sono invitati a fare propria la proposta pastorale Il campo è il mondo. La Lettera pastorale, che oggi viene resa pubblica, vuole essere un semplice strumento per approfondire anzitutto le numerose esperienze di nuova evangelizzazione già in atto nella nostra diocesi. Per questo, come si è giustamente detto nella recente Assemblea dei Decani, essa va letta personalmente e comunitariamente con l’intento di lasciarsi fecondare. E questo anche in considerazione del fatto che la Lettera pastorale è un atto di insegnamento da parte del vescovo e richiede, pertanto, disponibilità ad imparare. Non è inutile sottolineare che una lettera è tramite di un rapporto che va da persona a persona. In questo caso essa esprime il desiderio dell’Arcivescovo di rivolgersi ad ogni singolo. Sono certo che vorrete farvi carico di questo desiderio. Lo dico anche ai tanti giovani qui convenuti. Sarà poi importante far interagire la Lettera con la pastorale ordinaria, mediante un paragone costante e “critico” con gli ambiti della vita quotidiana propri di tutte le donne e di tutti gli uomini: gli affetti, il lavoro, il riposo, attraversati da quelli della fragilità, della tradizione e della giustizia.
4. Non più bastioni da difendere, ma strade da percorrere inco
ntro all’umano, ci siamo ripetuti in questi mesi.
In questa nuova epoca che si presenta carica di contraddizioni, ma che possiede anche l’affascinante carattere di una nuova avventura, la Chiesa ambrosiana intende mettersi al lavoro in tutti gli ambiti dell’umana esistenza, per edificare, con tutti gli uomini, a partire da una rinnovata vita di fede, un nuovo umanesimo generatore di pace e di vita buona. Per il bene della nostra amata città e non solo.
A Maria nascente, «creatura tutta santa [in cui] rifiorisce il Cielo» (Canto all’ingresso), affidiamo le nostre persone,la nostra Chiesa e la metropoli tutta di Milano. Amen.