Paolo di Stefano, inviato del Corriere della Sera, due anni dopo la pubblicazione sempre con la casa editrice Sellerio della ricostruzione della tragedia avvenuta l’8 agosto del 1956 nella miniera belga di Marcinelle (intitolata “La catastròfa”), offre ai lettori la rilettura dei fatti di cronaca (un omicidio) che hanno per scenario la Sicilia meridionale, in particolare le terre tra Siracusa, Avola Noto e Palazzolo Acreide, tra l’ottobre del 1954 e del 1961.
La storia dell’assassinio (assassinio?) di Paolo Gallo a cura del fratello Salvatore e del nipote Sebastiano parte dai dirupi delle campagne dei monti Iblei, tra quelle famiglie costrette a coabitare negli stessi spazi delle masserie lontane dai centri cittadini, coltivando il terreno e allevando il bestiame per quindici ore al giorno alimentandosi unicamente con i frutti della terra o della produzione animale.
I rancori tra fratelli (e cognate), il controllo sociale delle “voci di paese”, le rigide interpretazioni dei ruoli istituzionali come i carabinieri e la magistratura, offrono una fotografia di questo pezzo di Italia che sembra non sentire il tumulto dell’industrializzazione e della ricostruzione post-bellica.
Nulla possono né alcune lacune investigative (mai trovato il corpo dell’assassinato) e neanche la difesa degli accusati operata da alcuni principi del Foro siciliano. La carcerazione preventiva e poi la pena all’ergastolo scontate in sequenza nelle carceri di Siracusa, Catania e nell’Isola di Santo Stefano consegnano anche riflessioni sul sistema penitenziario dell’epoca.
L’autore si sofferma in maniera dettagliata sulla ricostruzione delle indagini, sui processi la cui durata consentiva di percepire immediatamente le tragedie umane e non diluite nel corso del tempo, sul differente ruolo del presidente di Corte e degli avvocati, ma anche su come i giornalisti potevano seguire le vicende e sulle loro capacità d’investigazione e di narrazione.
A far emergere la vera storia del “Giallo d’Avola” è stato decisivo, come detto, il contributo e la caparbietà di un giornalista e di un avvocato che, in un paradossale connubio ante-litteram di quello che sarà chiamato qualche decennio dopo il “circuito mediatico-giudiziario”, riusciranno a dipanare la vicenda ed a rendere evidente che l’assassinato tale non era. Vicenda, che sarà da stimolo nel 1965 anche per una rivisitazione del Codice Penale.
L’uso continuo del dialetto siciliano, il racconto dei luoghi, la cronaca serrata, fa rendere adatto questo libro anche a una versione televisiva sul modello delle attuali fiction di un commissario nazionale.
Per Di Stefano, siciliano di Avola nato nel 1956, questa storia, come quella di Marcinelle, sembra invece essere un modo per intraprendere un viaggio alla ricerca delle proprie radici, non solo dei luoghi, ma anche dei fatti storici avvenuti in quegli anni, non solo in Sicilia per poter contestualizzare la propria formazione.
Ma è anche uno strumento per avvicinare i lettori che vivono in quei luoghi, o nei quali sono nati ma che la vita ha portato altrove, a riascoltare le vicende e a rivedere quei posti, riacquisire il passo di una storia, importante e dimenticata o, nota ormai, solo nella storia locale.