Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte di una riflessione sull’enciclica “Lumen fidei” di papa Franceso, firmata da mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace.
La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 29 luglio.
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La luce della fede (grande e piena, sono gli aggettivi ricorrenti) trasforma, dunque, lo stesso modo di vedere umano (nuovi occhi, quasi scintilla luminosa iniziale che diviene una fiamma); lo trasforma particolarmente nel fervore d’iniziative di uno speciale Anno della fede, tutt’ora in corso, che dovrebbe dischiudere appunto «l’ampiezza di orizzonti» (n. 5), cioè far riscoprire la fede che come una mamma convoca i credenti alla luce e genera in essi la vita divina, mostrandosi come una nuova esperienza plausibile (cf n. 5). Perciò nel primo capitolo l’enciclica sceglie la forma del racconto: la fede, più che una definizione formale, va intesa come una ricerca nel percorso della nostra via concreta di uomini credenti del primo e del nuovo Testamento: Abramo, personaggio comune alle tre religioni monoteiste mediterranee; gli uomini e le donne dell’Israele biblico, peraltro sempre alle prese con la prova dell’incredulità, fino al rischio dell’idolatria, così ben descritto dalla tradizione rabbinica e da Martin Buber, esplicitamente richiamati; Mosè, il mediatore tra Dio e il “noi” del popolo. Si giunge così al Nuovo Testamento, in cui si raccolgono in Cristo tutte le linee dei credenti raccontati nell’Antico testo. Il Cristo è insieme colui a cui crediamo e colui al quale ci uniamo per credere (n. 18), guardando alla vita trinitaria con i suoi occhi e dal suo punto di vista e, insieme, associandosi alla sua potenza di creatore e costruttore di tutte le cose. In questo senso la fede illumina davvero ogni aspetto dell’esistenza credente e genera nuove opere. Ecco la “nuova logica” della fede cristiana al di là degli –ismi: «La fede in Cristo ci salva perché è in Lui che la vita si apre radicalmente a un Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno» (n. 20). In Cristo si coglie anche la fede nella Chiesa intesa come corpo di Cristo. Fede, perciò, che non è una bella fiaba, ovvero un sentimentalismo, ma verità affermata pescando nella memoria profonda dell’essere umano e della tradizione ecclesiale, in controtendenza rispetto al debito di verità della nostra epoca che «tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia» (n. 25). La luminosità della fede, posta al servizio del bene comune (cf n. 26), è luminosità del cuore prima che dell’intelletto e delle altre molteplici dimensioni umane: con il cuore si crede (Rm 10,10). Un cuore che si apre non solo all’affetto, ma all’amore pieno, ed è perciò in grado di farci spalancare sul serio gli occhi sul creato, sugli altri e le loro sofferenze.
Nella linea della luminosità si muove anche il capitolo III dove viene approfondita la trasmissione ecclesiale della fede, che si realizza nella parola e nella luce, sempre in un contesto di tipo familiare, in cui le generazioni passate, attuali e future sono compresenti. E così, l’io si matura attraverso il noi, mediante la comunicazione non solo di contenuti dottrinali, ma soprattutto di una «luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo» (n. 40), che ha i suoi precisi momenti sacramentali d’iniziazione e ammissione alla vita cristiana ed ecclesiale (in primo luogo, il Battesimo, che si configura come rinascita e, quando è amministrato ai piccini, richiede la sinergia, il palpitare all’unisono tra famiglia naturale e famiglia ecclesiale).
Nel quarto e conclusivo capitolo, l’insistita metafora (che è anche battesimale ed eucaristica) del cammino viene associata a quella dell’edificazione, cioè «la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri» (n. 50), ma sempre poggiando sull’affidabilità di Dio e sulla roccia che è Cristo. In questo senso «la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace» (n. 51). Alla ricerca di luoghi stabili dove la fede aiuti l’edificazione della città umana, che Dio stesso sta preparando per noi, papa Francesco mette al primo posto la famiglia, descritta testualmente come «l’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio» (n. 52). In un contesto socioculturale, abbastanza vasto, includente anche la nostra Europa, dove c’è l’orientamento e spesso la decisione, anche giuridica, di affermare la tutela e garantire l’esercizio di qualsivoglia orientamento sessuale anche nelle forme del matrimonio, si tratta di passaggi brucianti e certamente dirompenti, dove si afferma la bontà della differenza cromosomica e sessuale di uomo e donna, insieme con la necessità dell’educazione familiare delle giovani generazioni.
Se ci sono viaggi che si fanno con un unico bagaglio, il cuore, e se ci sono edifici che possono essere ben progettati e costruiti soltanto se elevati a regola d’arte e capaci di resistere alla prova di ogni assalto, occorre insomma una fede capace di essere, insieme, oltre che amore, anche speranza. Una speranza che non cristallizzi, come fa lo spazio delimitato, i processi ma, come il tempo, proietti invece verso il futuro e spinga tutti a camminare (cf n. 57).
Catanzaro, 15 luglio 2013
+ Vincenzo Bertolone