Il principe azzurro? Potrebbe anche essere una persona molto al di fuori degli schemi: disordinato, imprevedibile, spendaccione, ironico, logorroico, perennemente in ritardo, mattacchione e un po’ filosofo. Lo racconta Marcella Manghi Catania nel suo secondo libro, un testo autobiografico quanto mai atipico, dal titolo Qualcosa di diverso (Ares, 2013).
In circa 200 pagine, da leggere d’un fiato, l’autrice racconta i suoi quindici anni di vita affianco a Pietro Catania, suo marito e padre dei suoi tre figli. Dagli imbarazzi e i rossori dei primi incontri, ai naturali dubbi dell’inizio di una storia d’amore, fino alle sempre più grandi certezze di un matrimonio che, nonostante le diversità di temperamento tra i coniugi, si rivela felicissimo.
Il racconto è strutturato come un diario (“come un romanzo”, lo definisce l’autrice), che immortala i momenti salienti nella vita della coppia, visti con gli occhi di lei.
La scrittura è leggera e colma di un’ironia che coglie i paradossi e le sorprese di una giovane donna che, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, si accorge che quell’uomo così diverso da lei, entrato in modo così imprevisto nella sua vita, è destinato a legarsi a lei in modo indissolubile.
Il primo elemento che spicca in questo “romanzo atipico” è che Lei è riuscita a rendere “eccezionale” e colma di stupore, tenerezza ed umorismo al contempo, la storia di una famiglia “normale” e unita… Non è vero dunque che sono “romanzabili” soltanto le storie delle famiglie sfasciate, con drammi e divorzi al loro interno (come avviene soprattutto in molte fiction televisive)?
Marcella Manghi: Bè, già definire ‘normale’ la mia famiglia è osare parecchio! Credo che le migliori storie partano dal quotidiano, quelle che cominciano all’alba delle cinque con il marito che inizia a vibrare tutto, perché ti ha promesso che con questa sua nuova tecno-sveglia da polso ti farà finalmente dormire tranquilla fino alle sette: come se fosse semplice continuare a ronfare beata quando appoggi la testa dentro un frullatore di pere… A mio avviso, tanti bei romanzi sono intrisi proprio di quel quotidiano in cui molti di noi si possono identificare. Per i drammi, le sfasciature e i divorzi c’è tempo.
Il “principe azzurro” è un altro mito che questo libro sembra voler ridimensionare: è così?
Marcella Manghi: Io non vorrei ridimensionare la figura del Principe. È importante che l’immagine del principe-pretendente rimanga ben presente in tutta la sua imponenza. Del resto, è l’uomo a noi destinato per il resto dell’eternità! È sul colore che bisogna intendersi: spesso non è quello che ci si aspetta. Come quando apri la lavatrice – impostata per errore a novanta gradi – e… PLIM!, salta fuori una bella camicia coi gemelli con nuove sfumature a fragolina di bosco. Sì, c’è un attimo di perplessità; ma se – nonostante tutto – il taglio e la misura sono ancora quelli giusti, possiamo esser certi che quella camicia ora è assolutamente unica.
C’è anche una morale di fondo che si intravede: imparare a lasciarsi modellare da un destino che non è quello che immaginavamo ma che, non per questo, è necessariamente “crudele”, anzi…
Marcella Manghi: Se si ha fede e pazienza, il Destino prima o poi si rivela in tutta la sua straordinaria bellezza. La Vita insomma non è una fregatura. Ma occorre un’apertura non indifferente. E questo è tutt’altro che banale. È un cammino: per taluni più facile, per altri più scosceso…
Altro spunto che emerge dalla lettura di Qualcosa di diverso è l’idea che la complementarità fa la forza e non necessariamente un uomo e una donna devono essere “uguali” o “anime gemelle” per andare d’amore e d’accordo. Non è anche questo un messaggio controcorrente?
Marcella Manghi: In effetti, si incontrano molti single che cercano a tutti i costi un lui o una lei che sia il più possibile affine a loro. Io sono della scuola “i poli opposti si attraggono”. E questa – soprattutto dopo anni di matrimonio – è una ricchezza enorme. Con due persone diverse e unite, aumentano i punti di forza, le qualità, le prospettive. È come se in famiglia si raddoppiasse la potenza. Pensiamo (maschietti, mi rivolgo soprattutto a voi) ad una bella macchina sportiva: non sarebbe sciocco rinunciare al doppio dei cavalli??
Verso la fine del libro, Lei – come la sua collega Costanza Miriano – usa il controverso termine “sottomissione” riferito a se stessa in quanto madre di famiglia. I tempi cambiano anche nella concezione della donna?
Marcella Manghi: Ognuna di noi trova il suo equilibrio; mi riesce difficile fare generalizzazioni. Di certo, stare sottomessa non è un ‘di meno’, anzi. Io talvolta lo trovo proprio… comodo! Sì, perché in questo caso spetta al marito prendere su di sé la responsabilità di una decisione per entrambi. Non è una bazzecola. Come ha ottimamente sintetizzato Costanza Miriano: “Muori per lei”, marito…; e poi ne riparliamo!