"Sete di speranza, sete di Dio"

La prima catechesi di mons. Enrico dal Covolo

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Pubblichiamo il testo della prima catechesi preparata per la GMG di Rio 2013 da monsignor Enrico dal Covolo, SDB, rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense di Roma.

Il testo era programmato per mercoledì 24 luglio, ma non verrà pronunciato. Per un incidente domestico, mons. dal Covolo non ha potuto partire per Rio.

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Andate, e fate discepoli tutti i popoli (Matteo 28,19).

Queste parole-testamento di Gesù interpellano vivamente la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore…

Oggi, in particolare, siamo invitati a riflettere sulla speranza. Abbiamo sete di speranza, abbiamo sete di Dio!

Che cos’è la speranza? Diciamo subito che la speranza è un grande dono di Dio: ma è un dono impegnativo. Non è certo un “pacco-dono” da lasciare sigillato. Al contrario, la speranza è un “dono dinamico”, che ci coinvolge in un’avventura: ci impegna in un itinerario di scoperta, perché possiamo “rendere ragione” al mondo della speranza che è in noi (cfr. 1 Pietro 3,15).

Certo, non si tratta di un cammino facile, senza incognite. Così molte volte ci sentiamo scorag­giati, delusi, e ci viene da coniugare il verbo sperare al passato: “Speravamo”, “avevo sperato tan­to”…

Forse non c’è nulla di più triste del verbo sperare coniugato a un tempo passato.

i più poveri tra i poveri. Perché? Perché – insieme ai legami stabili, a un posto di lavoro sicuro, agli ideali e ai valori in cui credere… – viene a mancar loro la speranza.

Ebbene, occorre rieducarci/rieducare alla speranza!

Vedete, non a una vaga speranza, non a una sorta di buonismo sterile. Dobbiamo credere che l’amore vince la morte; dobbiamo credere che solo la vita regalata per gli altri conduce alla felicità autentica. 

La speranza cristiana non è per nulla un concetto filosofico astratto. Si identifica con una Persona vivente: è Gesù, l’unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre.

E allora ve lo ripeto anch’io, insieme al nostro papa Francesco: “Ragazzi, non lasciatevi rubare la speranza!”.

1. Lettura e meditazione (Luca 24, 13-35; Atti 8, 26-39)

Quello che vi racconto adesso è capitato a due discepoli di Gesù. La sera di pasqua se ne tornavano da Gerusalem­me a Emmaus: circa undici chilometri, un cammino di un paio d’ore. Erano tristi e delusi. “Noi speravamo“, confessano a un viandante che fa la loro stessa strada; “speravamo che Gesù di Naza­ret venisse a liberare il suo popolo…”.

Si mettono a discutere. Il viandante spiega le Scritture, una ad una; poi si ferma a cena e spezza il pane con loro. D’improvviso lo riconoscono: è Gesù, la loro speranza! Ritornano in fretta a Gerusalemme, pronti finalmente “a rendere ragione” della speranza che è in loro.

Qualche tempo dopo una cosa simile capitò a un funzionario della regina d’Etiopia. Anche lui tornava da Gerusalemme. Seduto nel suo carro, leggeva il libro del profeta Isaia: ma era deluso, perché non ne comprendeva affatto il significato.

Quand’ecco, gli si fa incontro un viandante, che si mette a discutere con lui. E’ il diacono Filippo, che inizia a spiegargli le Scritture. Poi si fermano vicino all’acqua, e il funzionario, in­fiammato dal Vangelo di Gesù, si fa battezzare.

Infine, “pieno di gioia”, riprende il suo cammino.

Nei due racconti di Luca rintracciamo lo stesso schema narrativo, articolato in tre mo­menti successivi.

All’inizio viene rappresentata una situazione di sconforto e di delusione. Segue un incontro che suscita la discussione, provoca dei segni, e finalmente accende la speranza. Poi la vita conti­nua, ma ormai ha “cambiato segno”: è una vita nuova, piena di gioia, una vita che si fa annuncio di speranza.

Si tratta pur sempre di un itinerario, di un cammino. Questa semplice constatazione rac­chiude già un primo insegnamento. Per incontrare la speranza non si può restare fermi. Occorre camminare. La posizione statica è una condanna a morte. Anche nella delusione, anche nello sco­raggiamento bisogna decidersi, e fare un primo passo: occorre mettersi in cammino, iniziare un esodo. E’ necessaria una volontà d’incontro, una disponibilità al dialogo.

Ma qual è l’evento decisivo, quello che finisce per trasformare la vita, aprendola alla spe­ranza?

E’ l’incontro con il Viandante. Un incontro che si accompagna a due esperienze fonda­mentali: prima la parola, poi il pane e l’acqua. Per chi vuole crescere nella speranza è decisivo l’incontro con il Signore, che si fa compa­gno di viaggio e spezza con i suoi la parola e il pane.

Allora comincia la vita nuova: la “gioia” ne è la sigla distintiva, la “testimonianza” l’impe­gno caratteristico. Colui che spera non può tacere: deve gridare al mondo l’oggetto della sua spe­ranza.

2. Per la preghiera e per la vita

Anche a noi capita in alcuni momenti della vita di provare sconforto e angoscia, come se la speranza fosse morta dentro di noi. Delusioni, frustrazioni di vario genere, incomprensioni, lo­goramento dei rapporti quotidiani, incertezza del futuro; e poi il silenzio di Dio, il peccato… sono le esperienze dolorose che talvolta ci fanno mormorare sfiduciati: “Io speravo, sì: ma ora…”.

In questi casi è molto forte la tentazione del ripiegamento su noi stessi. Ci chiudiamo a Dio e ci chiudiamo agli altri, e coltiviamo nel nostro intimo rancori e amarezze. Magari conti­nuiamo a sbarcare alla meno peggio il nostro dovere quotidiano. Ma anche se passiamo per gente che ha la fede, in noi è ormai morta la speranza.

E’ proprio questo il momento in cui occorre decidersi per un esodo. Bisogna uscire da noi stessi, e disporci all’incontro. Il Viandante non si farà attendere.

I discepoli “lo riconobbero allo spezzare del pane”: allora si ricordarono che le Scritture spiegate da lui “avevano fatto ardere il loro cuore”.

Questo significa che per crescere nella speranza occorre salvare ad ogni costo  il primato della dimensione contemplativa nella nostra vita: in particolare, la lettura pregata della Parola e la celebrazione dei sacramenti costituiscono le occasioni privilegiate per incontrare e “ri-conoscere” la nostra speranza.

Ma non basta. Anche il progetto di vita nuova che ne scaturisce va costantemente verifica­to. L’esistenza di chi spera si gioca sul versante della testimonianza: di qui la necessità di un con­tinuo discernimento, in vista di una sintesi sempre più matura e convinta tra la Parola e la vita, tra il sacramento celebrato e l’esercizio della carità.

Chi vuole crescere nella speranza deve porsi spesso domande di questo genere: sono costan­te nella lettura della Parola di Dio? Com’è la qualità della mia partecipazione ai sacramenti? Mi impegno a santificare il quotidiano attraverso le preghiere della giornata? E ancora: come gesti­sco nella mia esistenza il rapporto tra contemplazione e servizio, tra Parola pregata e ubbidienza concreta al Padre, tra celebrazione dell’Eucarestia e solidarietà con i fratelli, tra sacramento della Riconciliazione e vita orientata al­la conversione…?

Sono le domande del discernimento, che mentre impegnano a garantire gli spazi contem­plativi, ci invitano a promuovere una sintesi più matura tra la nostra preghiera e la nostra vita.

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Chiediamoci infine, con coraggio: Signore, che cosa manca alla mia speranza? che cosa turba la mia gioia? che cosa manca alla nostra gioia, come Chiesa, come gruppo, come società?

Signore, quale aumento di speranza mi vuoi dare? quale gioia hai in serbo per me, per farmi partecipare alla tua festa, per togliermi dal mio imbarazzo e dalla mia aridità?

Quale passo avanti mi sento di fare per aprirmi alla speranza del Vangelo?

Un primo passo, certo, lo stiamo facendo con la partecipazione a questa Giornata Mondiale della Gioventù. Ma pensiamo n
el nostro cuore a qualche altro passo da compiere, e pensiamoci adesso, subito, non domani. Perché i passi si fanno anzitutto nel cuore, e se noi oggi prendiamo una decisione, la speranza ricomincia a fiorire…

Mi permetto un suggerimento. Ciascuno di noi vive intorno a sé o dentro di sé un situa­zione di disagio: una situazione che ci pesa, una persona che non accettiamo, un fatto che ci di­sgusta… Mettiamoci davanti a questa situazione dicendo: “Signore, ti ringrazio, perché attraverso una situazione difficile, mi dai un’occasione provvidenziale per convertirmi al lieto annuncio della speranza, al perdono, al sacrificio, alla pace”.

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Enrico dal Covolo

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