“Se fosse vivo oggi, catalizzerebbe l’attenzione dei mass media e sarebbe oggetto di studio della Nasa. Verrebbe sottoposto alla Tac come le mummie egizie e il suo Dna susciterebbe il massimo interesse. Si spenderebbero fiumi d’inchiostro e di parole sul mistero che lo circonda e anche i migliori detective impegnati a scoprire segreti del suo essere sarebbero costretti a gettare la spugna”.

Così dice Patrizia Cattaneo, scrittrice e giornalista, riferendosi a un monaco libanese, Charbel Makhlouf, appartenente alla Chiesa cattolico maronita, morto oltre un secolo fa, proclamato santo da Paolo VI nel 1977, la cui festa liturgica si celebra il 24 luglio.

“La esistenza terrena di San Charbel fu costellata di eventi e fenomeni inspiegabili straordinari, fenomeni che hanno continuato e continuano a manifestarsi intorno alla sua tomba”, dice ancora Patrizia Cattaneo. “ E sembra anche che, in questo periodo storico, assai doloroso per il Medio Oriente, tormentato da guerre, attentati, odi, San Charbel abbia intensificato la sua attività taumaturgica, quasi a voler richiamare l’attenzione della gente sui valori spirituali, sulle realtà soprannaturali che gli eventi delle guerre vorrebbero cancellare”.

Patrizia Cattaneo ha scritto diversi libri su San Charbel, ed è quindi una esperta in materia. Ha anche fondato una Associazione culturale legata al suo nome, che ha lo scopo di “promuovere tutto ciò che riguarda la conoscenza del santo libanese”. E sull’argomento cura un sito Internet: www.charbelcenter.com

Sinteticamente, chi è san Charbel?

Patrizia Cattaneo: “E’ un grande santo libanese, appartenente alla Chiesa cattolica maronita. E’ vissuto nel nascondimento  più assoluto e non ha lasciato nulla di scritto,  né lettere, né riflessioni e tanto meno un diario spirituale, che ci consenta di sollevare, anche di poco, il velo sul suo rapporto intimo con Dio.  Ma abbondano i “segni” della sua grandezza spirituale. La sua “biografia celeste” è  in continuo fermento.  Il santo vive e opera attivamente in Dio. Si può dire che, da morto, attraverso innumerevoli miracoli, parli moltissimo, e che lo faccia soprattutto in questo nostro tempo”. 

Che cosa si conosce della famiglia di San Charbel e della sua esistenza prima della sua entrata in monastero?

Patrizia Cattaneo: “Il santo è l’ultimo dei cinque figli di Antoun Makhlouf e Brigitta Al-Chidiac. Nacque l’8 maggio 1828, e gli venne dato il nome di Youssef. Nacque in Libano, a Bqaakafra, un villaggio che sorge a 1800 metri sopra la “Valle Santa”, così chiamata perché è il luogo dove si trovano i più antichi insediamenti monastici della regione. Numerosi eremiti abitavano nelle sue grotte, e lo spirito ascetico che si sprigionava da quelle grotte impregnava l’intera valle.

“I genitori di Youssef erano molto pii, in particolare la madre. Il padre lavorava la terra e allevava il bestiame. Nel 1831, l’esercito ottomano lo requisì con il suo asino, per trasportare i raccolti dell’emiro fino al porto di Byblos. Una febbre perniciosa lo stroncò sulla via del ritorno a casa e Youssef aveva solo tre anni, quando rimase orfano del papà.

“Due anni dopo, sua madre, si risposò con un piccolo possidente terriero che divenne sacerdote con il nome religioso di Abdel Ahad. Presso i maroniti, come presso altre comunità di rito orientale, anche uomini coniugati possono diventare sacerdoti ed esercitare il loro ministero. Abdel Ahad divenne il parroco di Bqaakafra, ed era anche il maestro della scuola del villaggio. Youssef fu allievo del “patrigno” sacerdote. Il quale era una persona molto colta e molto pia e fu la prima importante guida spirituale per il ragazzo”.

Quando Youssef decise di abbandonare il mondo per dedicarsi alla vita eremitica?

Patrizia Cattaneo: “A 23 anni. Fin da ragazzino era, per sua natura, incline alla contemplazione e alla solitudine. Si confessava e si comunicava spesso. Pregava di continuo e portava sempre con sé il libro di preghiere. Il suo compito giornaliero era quello di condurre la mucca al pascolo, ma amava isolarsi dai suoi coetanei che pascolavano il bestiame come lui, per dedicare il suo tempo alla preghiera. I suoi compagni lo chiamavano “il santo”. Alla sua mucca diceva:  “Aspetta che finisca di pregare, perché non posso parlare con te e con Dio allo stesso tempo. Lui ha la precedenza!” La sua vocazione fu favorita anche da due zii materni, eremiti nella Valle Santa. La madre di Youssef però, forse per grande affetto,  ostacolava quella inclinazione del figlio. E così, una notte, quando aveva 23 anni, Youssef, seguendo la voce del suo cuore, fuggì di casa ed entrò in noviziato al convento di Maifouq. La madre lo cercò e lo supplicò di tornare a casa, ma il giovane fu irremovibile”.

Quali furono le tappe più importanti della sua vita in  monastero?

Patrizia Cattaneo: “Dopo la sua fuga da casa, affrontò l’anno di noviziato, “anno di prova”, e per la sua nuova vita di religioso prese il nome di Charbel, in onore di un martire antiocheno, morto nel 121 e venerato dalla Chiesa orientale. Charbel, in siriaco, significa “storia di Dio”.

“Nel monastero di Maifouq, Fra Charbel apprese le regole della vita religiosa. Si distingueva dagli altri novizi per obbedienza esemplare. Ma quel monastero non corrispondeva alle sue aspettative di solitudine e silenzio. Chiese ai superiori di essere trasferito in un monastero più isolato e venne mandato nel convento San Marone di Annaya, dell’Ordine Libanese Maronita.

“Nel 1853, dopo i voti solenni, fu inviato all’istituto teologico di Kfifane, per prepararsi al sacerdozio. Qui, per cinque anni, fu allievo di un grande teologo, Nimatullah Al-Hardini, che fu anche un grande santo, elevato alla gloria degli altari nel 2004. Questo straordinario personaggio, che aveva una cultura teologica smisurata, trasmise a Charbel non solo l’amore profondo per la teologia, ma soprattutto l’amore per Dio e per la vita ascetica.

“Completati gli studi e ordinato sacerdote nel 1859, Charbel tornò al monastero di Annaya, dove trascorse 16 anni di vita monastica esemplare, guadagnandosi la fama di santo per le virtù eccelse e la sua leggendaria ubbidienza “più angelica che umana”. Nel 1875 ottenne il permesso di ritirarsi all’eremo dei Santi Pietro e Paolo, annesso al monastero di Annaya, dove trascorse gli anni più intensi della sua comunione con Dio e dove morì il 24 dicembre 1898”.

Nelle varie biografie di questo santo, e anche nei  libri che lei ha scritto, si parla molto di fenomeni carismatici, di prodigi, di miracoli.

Patrizia Cattaneo: “I prodigi iniziarono quando il santo era monaco ad Annaya. Un suo confratello ha dichiarato: “Tutto quello che si legge nelle biografie dei santi è inferiore a ciò che, con i miei occhi, ho visto compiere da padre Charbel”. La gente di ogni confessione religiosa ricorreva a lui per chiedergli di benedire i campi, le case, il bestiame, i malati e i prodigi piovevano abbondanti. Il santo conosceva gli eventi a distanza e aveva il dono di scrutare le coscienze. Il superiore un giorno gli ordinò di benedire la dispensa che scarseggiava di provviste e le giare subito si riempirono di grano e olio. Durante le frequenti invasioni di cavallette, causa di carestia e di morte, solo i campi benedetti dal santo sfuggivano alla devastazione. La sua benedizione scongiurò la morte di interi allevamenti di bachi da seta, che costituivano una fonte primaria di sostentamento per il convento e la popolazione. Sarebbero necessarie pagine per enumerare i prodigi attribuiti a San Charbel quando era ancora in vita.”

(La seconda parte segue domani, martedì 23 luglio)