L’attivismo di Marta e la contemplazione di Maria sono due facce della stessa medaglia, che spesso sono state poste in contrapposizione l’una con l’altra. In realtà il messaggio che vuole proporre l’evangelista Luca è inequivocabile, se si considera il contesto nella quale è incastonata questa pericope: dopo la parabola del buon samaritano e prima dell’insegnamento della preghiera del Padre Nostro.
L’evangelista Luca, collocando in questo preciso punto il racconto dell’accoglienza di Gesù a casa di Marta e Maria, sembra volerci offrire un duplice modello: Maria, il discepolo orante di Gesù, e Marta, il discepolo dedito al servizio del prossimo. Entrambe le donne delineano il profilo dell’unico discepolo di Cristo. Abbiamo due diverse figure di riferimento, presentate con l’unico scopo di far capire ai lettori di questo Vangelo, le due dimensioni sinergiche della vita cristiana: l’azione e la contemplazione.
La contemplazione dona forza e senso all’agire, perchè ripaga ogni gesto con la speranza dell’eternità. L’attivismo senza l’orazione si trasforma in un soddisfare se stessi, in un fare egoistico che non ha nulla a che vedere con l’amore al prossimo, verso il quale è orientata la volontà di Dio per noi.
E’ di grande aiuto leggere il primo versetto di questo Vangelo per coglierne il suo significato: “Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa.” (Lc 10, 38). Si parla prima di un plurale, essi erano in cammino, facendo riferimento al gruppo dei discepoli che seguiva Gesù, ma subito dopo viene utilizzato il singolare, entrò, riferito senza ombra di dubbio al solo Gesù.
L’evangelista sembra volere fare notare in maniera quasi velata, percepibile solo ad un lettore molto attento, che Gesù entra da solo, senza i suoi discepoli, in una casa di un villaggio di nome Betania.
Ogni gesto di Gesù è un insegnamento per noi. I discepoli, in questa circostanza, non vanno insieme a Gesù, perchè essi non hanno ancora compreso il cuore del Suo messaggio: l’amore agli ultimi, agli emarginati, a coloro che abitano le periferie del mondo.
E del resto le parole pronunziate da Gesù nel cenacolo, durante il suo discorso di addio, spiegano questa incomprensione dei discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera,” (Gv 16, 12-13). Gesù non aveva ancora dato ai suoi discepoli la sua testimonianza di amore, morendo sulla croce. Lo Spirito Santo non aveva ancora rivelato il senso profondo delle parole di Gesù.
Il cuore dell’insegnamento cristiano non era stato comprenso. E il Vangelo ci offre tanti esempi di questa loro incomprensione verso le intenzioni di Gesù: quando i discepoli cercano di mettere a tacere il cieco Bartimeo che grida verso Gesù (Mc 10, 46-52), quando i discepoli sgridano i genitori che chiedano a Gesù di benedire i loro figli (Mc 10, 13-16).
Gesù si ferma a casa di Marta, un nome che in aramaico significa signora o padrona di casa. Quindi è naturale che sia proprio Marta ad accogliere Gesù. Dopo l’accoglienza, Marta prosegue nel suo compito di servizio, legato molto probabilmente alla preparazione del pasto. In quella casa viveva anche la sorella di Marta, Maria, che intrattiene il gradito e illustre ospite, Gesù.
Ma gli onori di casa nella tradizione orientale era riservata agli uomini. Le donne erano relegate ai servizi domestici. Proprio questo uscire fuori dagli schemi da parte di Maria, diventa per Marta l’occasione di chiedere un aiuto a Gesù: “«Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».” (Lc 10, 40). Marta è tutta protesa su stessa, e questo è ben comprensibile dal suo linguaggio: mia sorella… , mi ha lasciata sola a servire…, mi aiuti…
Marta è concentrata troppo su se stessa, è presa dai troppi servizi che gli impediscono di riconoscere che davanti a lei ha il suo Signore da ascoltare, e non da comandare. L’atteggiamento di Marta con il suo atteggiamento di “consiglio” al Signore, descrive molto bene il rischio dell’attivismo, quando non è accompagnato dalla preghiera. Marta è totalmente assorbita in quello che dovrà fare (le preoccupazioni), e in quello che sta facendo nel suo continuo muoversi (le agitazioni), a tal punto da perdere di vista il suo essere accanto a Dio, e di conseguenza il senso ultimo del suo agire.
La risposta di Gesù rimette ordine alla confusione spirituale di Marta: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».” (Lc 10,41-42).
Maria seduta ai piedi di Gesù per ascoltare, dipinge l’’atteggiamento della preghiera, che non consiste nel dire tante parole, cercando di spiegare a Gesù tutta la nostra vita. Egli già conosce tutto, ancora prima del nostro parlare. Siamo noi che non sempre conosciamo quello che Lui vuole da noi. Pregare significa, prima di tutto, porsi in umile ascolto del Signore ed ascoltare quello che Lui ha da dirci alla nostra vita.
L’ascolto di Gesù, che è il fondamento della preghiera cristiana, porta ad una libertà interiore che nessuno potrà mai togliere. La preghiera riguarda l’interiorità di ogni essere umano, che non può essere strappata da nessuno, nemmeno davanti a gravi minacce o a tremende persecuzioni. Anzi sono proprio le tribolazioni e le prove della vita che rafforzano la nostra amicizia con la preghiera.